S. IRENEO di Lione

Con Ireneo di Lione la Chiesa di Gallia entra nella storia. Originario dell’Asia Minore, trascorre la giovinezza a Smirne presso il vescovo Policarpo e altri presbiteri, testimoni praticamente diretti della tradizione apostolica: questo farà di lui un teologo della “tradizione ecclesiale”, nel senso di “trasmissione attiva” della fede, vissuta e riscoperta generazione dopo generazione. In Asia Minore viene a contatto con le varie dottrine gnostiche, marcionismo e montanismo soprattutto. Non si sa per quali motivazioni passa in occidente. Soggiorna per  un po’ di tempo a Roma, conosce quella Chiesa e gli scritti di Giustino. Nel 177 è a Lione, proprio quando sta per iniziare la persecuzione contro i cristiani; durante quest’ultima viene martirizzato il  vescovo Potino: Ireneo gli succede sulla cattedra episcopale fino al 200 circa. Della sua attività di vescovo si conosce quanto è contenuto nelle varie lettere indirizzate alle Chiese d’Oriente e di Roma; si sa che prende parte attiva in vari dibattiti, dando un contributo fondamentale in particolare nelle discussioni sulla diversità degli usi liturgici, che non compromettono l’unità della Chiesa, ma al contrario fanno risaltare la fondamentale comunione nella fede. Scrive inoltre un trattato “Contro le eresie” (una sorta di “summa” antignostica) e una “Dimostrazione della predicazione apostolica”, finalizzata sia a combattere la gnosi sia a dimostrare ai giudei l’annuncio di Cristo già nell’AnticoTestamento.

 

Un tema essenziale in Ireneo è quello della “pedagogia divina”, per affrontare il quale è necessario chiarire tre aspetti fondamentali che sottostanno a tutto l’argomentare di Ireneo e che fanno da pilastri portanti:

1. teologia di tipo tradizionale, cioè una fede attiva e pubblica, istituzionale, garantita dalla successione dei vescovi a partire dagli apostoli (questo in chiara polemica nei confronti della arbitrarietà e del “segreto” gnostico)

2. teologia dell’unità: unità di Dio e della sua opera (un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito, creatore), un solo piano di Dio (creazione dell’universo per l’uomo e dell’uomo per la comunione con Sé), unità della Rivelazione nell’AT e nel NT, unità di Cristo (vero Dio e vero uomo), unità dell’essere umano (corpo e anima, destinato alla salvezza nella totalità della sua natura). Tutto questo è ancora in chiara polemica nei confronti del dualismo gnostico.

3. teologia della storia della salvezza, che si realizza nello spazio e nel tempo, sebbene abbia come meta un altro mondo (pure questo è in polemica nei confronti delle mitologie gnostiche).

 

E’ in questo quadro fondamentale che si inserisce la visione che Ireneo ha dell’uomo. Egli valorizza l’essere umano concreto, con il suo universo, collocandolo nel piano di Dio, piano che si è fatto salvifico dopo il peccato originale e all’interno del quale occupa un posto fondamentale l’umanità di Gesù.  Nel pensiero di questo Padre della Chiesa nel cristianesimo non c’è antitesi tra Dio e l’uomo: Dio vuole la realizzazione dell’uomo in quanto uomo, ma essa si ha solo nella piena e totale comunione con Dio. L’uomo dunque è veramente nella verità del suo essere uomo solo in rapporto a Dio. L’antropologia di Ireneo presenta delle fondamentali caratteristiche:

  1. l’uomo è un essere creato da Dio; non è uno spirito celeste decaduto, né è una particella divina: egli è opera diretta di Dio, creato come anima e come corpo.
  2. l’uomo è creato perché viva. Alla vita è chiamato il corpo, l’anima e lo spirito, perché tutte e tre queste dimensioni sono state redente da Cristo, perciò chiamate a partecipare alla comunione con Dio. Piena maturazione dell’immagine e della somiglianza con Dio è però solo con la risurrezione.
  3. l’uomo è un essere in divenire. Dio è, originariamente, un essere completo; l’uomo, in quanto creatura, lo diviene secondo una legge di crescita, di progresso, di maturazione. La condizione umana è perciò aperta, sia a livello individuale sia a livello della storia di tutta l’umanità, allo sviluppo e al superamento. La perfezione dell’uomo –e questa è una novità assoluta rispetto alla mentalità antica- non sta nel “principio”, nell’origine, bensì al termine della storia. Il tempo e la storia non sono più dunque causa di usura o motivo di impazienza, ma condizione favorevole per la maturazione e il compimento del piano divino, che coinvolge l’uomo tutto intero (ivi compresa la sua corporeità) e –anche questa è una novità assoluta- l’intero cosmo.

L’uomo è un essere libero e responsabile. L’uomo è libero come Dio è libero: questo è un aspetto del suo essere immagine del Creatore. Perfezione dell’uomo è la sua libera adesione al piano di Dio. Insita nella condizione di libertà c’è quella della possibilità di peccare. Questa, di fatto, è stata l’opzione dell’uomo. La sua colpa però non ha vanificato il progetto di Dio, ma ha chiuso all’uomo la possibilità di divenire figlio di Dio. Solo Cristo può permettere di nuovo questo accesso. L’azione di Dio diviene così una lenta educazione dell’uomo singolo e dell’intera umanità (esattamente qui sta la “pedagogia di Dio”), cioè da una parte l’iniziativa di Dio (che opera tramite il Verbo e lo Spirito, considerate le “mani di Dio” nella creazione) e dall’altra la creatura, con la sua libertà e con il suo bisogno di tappe progressive che ritmino il suo sviluppo e la sua crescita verso la piena somiglianza e la piena comunione con Dio. 

E’ una posizione, quella di Ireneo, radicalmente nuova, di carattere decisamente positivo e dinamico, anche se il linguaggio usato è spesso poco tecnico.

 

Anche la tradizione apostolica per Ireneo e il concetto di “vera gnosi” sono due punti essenziali, soprattutto per la confutazione dell’eresia gnostica.

Ireneo nasce in un ambiente cristianizzato da lunga data, ha profonde radici ecclesiali e un senso cristiano robusto. Il tempo trascorso a Smirne lo pone in contatto con Policarpo e altri presbiteri, testimoni diretti degli apostoli. L’ambiente da lui frequentato è fortemente segnato dall’influenza di Paolo e di Giovanni. Quando passa a Roma, prende contatto anche con la tradizione di questa Chiesa, che conserva l’elenco dei suoi vescovi dall’origine fino al momento attuale, offre alcuni dettagli circa il viaggio di Policarpo a Roma al tempo del papa Aniceto e sull’atteggiamento delle chiese di Roma e dell’Asia Minore nella controversia relativa alla data della Pasqua. Tutto questo costituisce, a mio avviso, il substrato esperienziale umano che sensibilizza Ireneo al tema dell’importanza della tradizione ecclesiale.

Il contatto con le dottrine e le tradizioni eterodosse avviene, per Ireneo, a Smirne; in realtà il primo approccio è certamente quello nella sua terra natia, essendo l’Asia Minore del II secolo uno dei focolai più vivi, in particolare del montanismo e del marcionismo. Per gli gnostici la conoscenza perfetta è rivelata, posseduta e trasmessa da degli iniziati: essi soli hanno completamente aperta la via della salvezza. Tale conoscenza e tale salvezza sono del tutto estranee al mondo malvagio legato alla temporalità e alla materialità. 

Contro questa arbitrarietà e segretezza delle speculazioni gnostiche si scaglia Ireneo, il quale porta avanti il discorso della cosiddetta “teologia della tradizione ecclesiale”, il cui senso è profondamente dinamico. Per Ireneo infatti la trasmissione della fede è attiva, pubblica, istituzionale; essa è garantita dalla successione degli apostoli, cioè dal “corpo episcopale”. Solo in questo contesto è garantita la recezione autentica della Scrittura e della sua vera interpretazione. Nel cap. 3 del trattato “Contro le eresie” afferma con chiarezza:

Il Signore di tutte le cose dette ai suoi Apostoli il potere di annunciare il Vangelo e attraverso di loro noi abbiamo conosciuto la verità, cioè l’insegnamento del Verbo di Dio”. Replicando contro gli gnostici:

"Quando invece li richiamiamo alla Tradizione che viene dagli Apostoli –quella che grazie alla successione dei presbiteri si conserva nella Chiesa- si oppongono a questa tradizione affermando che, essendo più sapienti non solo dei presbiteri ma anche degli Apostoli, sono stati loro ad aver trovato la verità pura, perché gli Apostoli hanno mescolato alle parole del Salvatore le prescrizioni della Legge. E non solo gli Apostoli, ma anche lo stesso salvatore ha pronunciato parole ora provenienti dal Demiurgo, ora dall’Intermediario, ora dalla Suprema Potenza, mentre loro conoscono il mistero segreto senza il minimo dubbio, senza contaminazione alcuna e allo stato puro. ma questo significa bestemmiare il proprio Creatore nella maniera più sfacciata! Capita dunque che non vanno più d’accordo né con la Scrittura né con la Tradizione”.

Ireneo prende in considerazione anche il caso “per assurdo” che la Chiesa non fosse in possesso di alcun testo della Scrittura e dice:

"Anche se gli Apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si dovrebbe seguire l’ordine della Tradizione, che hanno trasmesso a coloro a cui affidavano le Chiese?”. 

Questa posizione di Ireneo pone delle basi decisive per il discernimento dottrinale, la cui eco si ritrova persino nella “Dei Verbum” del Concilio Vaticano II.