ORIGENE d'Alessandria

 

Con Origene si assiste a una autentica svolta, un salto di qualità nella ricerca e nell’approfondimento della fede. Nel trattato “Sui Principi” egli stesso descrive con chiarezza il campo di indagine, i contenuti e gli strumenti che intende usare nella sua ricerca teologica;  gli strumenti sono la Sacra Scrittura, intesa con tutto il suo “corpus” di testi biblici,  e l’argomentazione razionale, mentre il campo di indagine è quello stabilito dal canone della fede, trasmesso dagli apostoli e conservato nella Chiesa tutta intera (questo ”particolare” non è privo di importanza, perché denota una posizione sostanzialmente diversa da quella di Clemente).

 

 

 

Due sono le idee fondamentali sulle quali si basa l’argomentare teologico di Origene:

  1. l’assoluta trascendenza e inconoscibilità di Dio
  2. la conseguente centralità del Logos

Come già Clemente, anche Origene si rifà al prologo di Giovanni, ove Dio si autorivela nel Logos-Dio: Egli appare agli uomini rendendo così possibile la conoscenza del Padre. Il Logos, tuttavia, non rivela il Padre solo nel momento dell’incarnazione; molte, infatti sono le occasioni e le modalità: la prima in ordine temporale è quella in cui espleta la sua attività creatrice, cui fa seguito l’intero AT – in modo particolare le teofanie -, per giungere, infine, appunto all’incarnazione.

In Origene l’attività creatrice del Logos ha una importanza notevolmente maggiore rispetto a quella assunta nei Padri Apologisti e in Clemente, a causa della concezione esemplarista che egli ha del mondo: per Origene, infatti, la realtà sensibile è simbolo di quella trascendente e intelligibile;  l’odinamento del cosmo, dunque, è in qualche misura già autorivelazione del Logos. In quanto Parola il Logos è lo strumento attraverso il quale il Padre crea, ma in quanto Sapienza è il modello secondo il quale viene creato il cosmo.

Con tutto ciò, il momento centrale della rivelazione resta l’incarnazione, ove il Logos si fa persona storica visibile; rispetto alle manifestazioni dell’AT l’incarnazione  è superiore perché il Logos appunto si fa non solo conoscibile, ma anche visibile. Anche questa forma, tuttavia, rimane molto imperfetta rispetto alla realtà trascendente, perché viziata dalla condizione di “materialità”.

Anche dopo l’incarnazione il Logos continua il suo processo di svelamento e lo fa tramite l’opera della Chiesa nella sua attività di insegnamento e nella crescita spirituale dei singoli fedeli.

Nel pensiero di Origene, dunque, il Logos ha un ruolo di rivelatore del Padre in quanto sua immagine e di educatore e preparatore alla conoscenza e alla visione del Dio assolutamente trascendente. Essendo tale, il Logos può rivelare all’uomo l’infinita unità di Dio solo mostrando alcuni dei suoi molteplici aspetti: è questa la cosiddetta “dottrina delle epinoiai”. Le denominazioni che il Logos mostra sono quelle che l’uomo può comprendere e delle quali può partecipare. Fonte di esse è, per Origene, la Scrittura, che viene così a essere “voce” del Logos e sua autorivelazione, perché indica appunto le sue denominazioni. C’è perciò, secondo l’alessandrino, una sostanziale equivalenza tra il Logos trascendente, il Cristo storico e la Scrittura, nella prospettiva del Padre che fa dono di sé all’uomo attraverso il Figlio.

La Bibbia, però, è solo luogo di mediazione nell’opera della rivelazione del Logos all’uomo. Ancora, la Bibbia è, per la concezione esemplarista di Origene, luogo di mediazione tra la realtà sensibile e i misteri trascendenti, svelati anch’essi dal Logos (vd, “Comm. al Vg di Gv. 19,22,146”). A partire dall’interpretazione che fa di Eb.10,1 (vd. “Omelia sul Salmo 38,2,22”) e seguendo l’indicazione di Ap.14,6, Origene instaura una serie di rapporti tra l’economia della rivelazione, la realtà sensibile e quella soprasensibile. Egli distingue un Vangelo “temporale “ o “corporeo”, che corrisponde alla venuta nella carne di Cristo e un Vangelo “eterno”, corrispondente alla piena autorivelazione del Logos, non più oscurata dalla corporeità (vd. “Comm. al Vg. di Gv. 13,18,109-113”). Si ha, perciò, una scansione ternaria:

  1. AT
  2. NT/Vg temporale
  3. Vg. eterno

cui corrisponde, sul piano onto-gnoseologico:

  1. ombra
  2. immagine
  3. pienezza del mistero

Sottolineatura importante è che tra il 1° e il 2°-3° grado vi è una diversità di sostanza, mentre tra il 2° e il 3° solo di modo, perché sono inerenti entrambi alla percezione del mistero: nel 2° si ha la mediazione dell’incarnazione, mentre nel 3° la contemplazione è “faccia a faccia”.

Proprio a partire dalla distinzione tra immagine e realtà Origene impianta anche una fondata e coerente teologia del sacramento.

Le tre fasi dell’economia e i tre livelli del progresso della conoscenza sono pure il criterio per l’esegesi della Scrittura (vd. domanda successiva) e per la rappresentazione della Chiesa, costituita dagli incipienti, dai progredienti e dai perfetti.

Il parallelo con l’antropologia tricotomica di Platone (soma- psychè- pnèuma) è evidente , tuttavia essa viene assunta da Origene non senza importanti correttivi e solo nella misura in cui risulta compatibile con il suo impianto teologico; questo resta, comunque, un punto assai delicato sia se si vuole riflettere sulla dipendenza di Origene dal pensiero antico, sia per l'eventuale ellenizzazione del messaggio cristiano operata dall’alessandrino.

 

Come già detto sopra, ciò che determina la riflessione teologica di Origene è il confronto costante con le Scritture, considerate come un intero “corpus”: ogni sua riflessione speculativa prende inizio e valore dal dato biblico. Allo studio del testo sacro egli dedica la maggior parte delle sue energie, arrivando a distinguersi da tutti gli altri Padri fino a questo momento incontrati sia per quantità di lavoro sia per novità di metodo.

Nei primi tre capitoli del quarto libro “Sui principi”  Origene affronta  il tema della esegesi  e introduce importanti innovazioni nella pratica concreta.

Due sono le premesse metodologiche che possono essere rilevate:

  1. il testo biblico è unitario e globale (vd. “Comm. al Vg. di Gv. 10,18,107”). Soggiacente a questa convinzione c’è certamente la preoccupazione antignostica; lo gnosticismo, infatti, separava nettamente l’AT, riguardante il Dio malvagio che aveva creato la materia e il mondo sensibile, dal NT. e’ presente, però, anche una personale convinzione dell’alessandrino, per il quale la funzione rivelatrice di Dio è attribuita al solo Logos; non è dunque possibile che sia presente nella Sacra Scrittura una “doppia voce”, ma anche l’AT sussiste e ha senso perché parla del Logos e, in qualche misura, è il Logos stesso.
  2. l’unitarietà della Scrittura comporta una non-contraddittorietà; secondo Origene essa è percorribile in modo coerente in tutti i suoi punti e ogni passo può essere illuminato e illuminare altri. Ne deriva perciò che il commento al testo sacro deve essere globale e sistematico, sia per quanto riguarda ciascun singolo libro sia per quanto riguarda l’intera Bibbia.

Perché l’esegesi della Scrittura possa essere compiuta, però è necessario avere a disposizione un testo corretto. Quella dell’alessandrino non è una semplice preoccupazione filologica, bensì la conseguenza ovvia del suo convincimento: se infatti la Scrittura è “res testuale” dello Spirito, allora ogni suo elemento è portatore di significato. Le discussioni con gli Ebrei avevano messo in luce le divergenze tra il testo masoretico e quello dei LXX, utilizzato dai cristiani; erano esistenti, inoltre, altre traduzioni in lingua greca anch’esse di origine giudaica; infine, gli stessi manoscritti dei LXX portavano varianti tra loro. Origene affronta questo delicato problema, arrivando a riconoscere il testo masoretico come testo originale e con priorità storica, ma a quello dei LXX il valore normativo per la fede, perché è quello trasmesso dalla Chiesa primitiva. Questo, però, non gli impedisce di presentare anche un lavoro di alto valore scientifico, gli “Expala”, in cui pone il testo della Bibbia ebraica in maniera sinottica su sei colonne (testo ebraico, sua trascrizione in lettere greche, traduzione di Aquila, traduzione di Simmaco, LXX, traduzione di Teodozione); per alcuni libri come quelli dei “Salmi”, arriva a presentare anche 8 o 9 colonne.

Per quanto riguarda la lettura del testo sacro, Origene pone alla base tre principi fondamentali:

  1. la Bibbia è tutta ispirata dallo Spirito Santo
  2. essa ha sensi profondi, nascosti sotto quello immediato, che vanno ricercati
  3. nella Bibbia Dio parla in modo attuale: essa non è un semplice documento storico, ma un libro di vita; questo vale anche per l’AT, da leggersi alla luce del mistero di Cristo.

Ispirandosi a Filone, facendo uso delle discipline scientifiche allora disponibile e appoggiandosi sulla tripartizione platonica, l’alessandrino arriva a distinguere tre “sensi” della Scrittura:

  1. corporale, o letterale
  2. psichico, o morale
  3. spirituale, o mistico

Molto spesso però Origene giunge a parlare  semplicemente di senso “spirituale” (dato dalla associazione di quello morale e di quello mistico) al di là di quello “letterale” o della “storia”. Differenziandosi da altri Padri, l’alessandrino non toglie il valore che, comunque, il senso storico ha ma, al contrario, lo pone alla base di qualsiasi interpretazione: proprio per questo motivo egli non ricusa di stabilirlo, spesso in modo meticoloso. Come però egli dice, non bisogna fermarsi alla “carne” di Cristo, ma bisogna giungere al significato spirituale del testo, il quale rivela, nell’Antico Testamento, la prefigurazione del mistero cristiano e, nel Nuovo Testamento, l’annuncio delle realtà presenti e di quelle future.

Circa l’interpretazione dei testi, Origene ricorre in maniera sistematica all’allegoria, con la quale trova significati simbolici in tutti i dettagli del testo. Questo metodo non è una novità, essendo già praticato sia dai rabbini giudei sia dagli eruditi ellenici (le opere di Omero erano già da tempo lette in tale chiave); essa perdurerà anche nella successiva esegesi patristica e medievale. Al riguardo però è importante sottolineare che è lo stesso Origene a porre argini precisi, onde evitare il debordare dell’allegorismo, fino al punto da trasformare il testo biblico in una “foresta” di simboli; gli argini posti dall’alessandrino sono coerenti con quanto da lui affermato ed esposto in precedenza, cioè con il principio dell’unità del testo biblico e quello della non contraddittorietà. Anche i simboli perciò devono restare costanti nel significato all’interno di tutti quanti i testi della Sacra Scrittura.

Un’ultima importante sottolineatura circa l’interpretazione di Origene della Bibbia è quella che colloca l’esegesi “in media Ecclesia”, là dove è conservata la verità della fede; qualunque interpretazione che arriva a essere in contrapposizione con la “regula fidei” è da rifiutarsi, come anche, laddove si ritrovi una discrepanza tra l’originale ebraico e la traduzione dei LXX, si ha da optare per il testo greco, proprio perché è quello fatto proprio dalla tradizione ecclesiale.

Tracce del metodo origeniano possono essere ritrovate anche nella liturgia contemporanea; un esempio molto significativo può essere quello della Veglia Pasquale del Sabato Santo;:

  1. il fuoco, interpretato simbolicamente: “…benedici questo fuoco nuovo, fa’ che le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo…”.
  2. il cero, segnato in modo anch’esso simbolico.
  3. l’accensione del cero al fuoco benedetto con le parole: “La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito”
  4. la “Liturgia della Parola” con le sue sette letture tratte dall’Antico Testamento; qui si ripercorre la storia della salvezza, certamente con una attenzione al testo e al fatto storico, ma anche con l’intento di trovarvi le prefigurazioni di Cristo.

Anche nella storia della spiritualità è evidente l’impronta lasciata da Origene: un esempio tra moltissimi può essere quello della modalità con cui è stato letto il Cantico dei Cantici: basti pensare a S. Bernardo nel XII secolo, a S.Giovanni della Croce nel secolo XVI e a S. Teresa di Gesù Bambino nel XIX secolo.

Pure nella dottrina della Chiesa attuale si possano ritrovare con chiarezza i tre livelli proposti da Origene e presentati come il corretto modo di approcciare le Scritture, definendo i tre livelli non come contraddittori, ma come complementari uno all’altro; essi sono:

  1. lettura del fatto storico (che presuppone il testo corretto e, là dove ci sono varianti nei codici, la possibilità di confronti critici).
  2. lettura tipologica, cioè il cercare la persona di Cristo, prefigurato dentro ogni passo dell’Antico Testamento.
  3. lettura spirituale, cioè Parola pronunciata per ogni uomo nel suo specifico “oggi”.