S. GREGORIO di Nazianzo

La sua vita

 

Gregorio nasce ad Arianzo, vicino a  Nazianzo, nel 329 all’interno di una importante famiglia. Il padre, vescovo di quella città, proviene dalla setta giudaica degli Ipsistari, si converte al cattolicesimo prima della nascita di Gregorio. Il fratello Cesario è medico alla corte di Costantinopoli e il figlio della sorella Gorgonia diventerà vescovo di Iconio. 

Riceve una solida formazione culturale prima a Cesarea di Cappadocia (dove incontra per la prima volta Basilio), poi a Cesarea Marittima, poi ad Alessandria e infine ad Atene, ove resta insieme a Basilio fino al 357, anno del suo battesimo.

Desideroso di vivere una vita filosofica, raggiunge l’amico Basilio al monastero di Annisi: per un anno si dedicano, insieme, allo studio e all’ascesi. Insieme scrivono una “Filocalia”, cioè una raccolta degli scritti di Origene.

Il padre, ormai vecchio, lo richiama, perché lo aiuti nel governo di Nazianzo. Convinto da quest’ultimo e dal popolo, nel tempo natalizio del 361 si fa consacrare sacerdote; sentendo questo però come una forzatura, ritorna da Basilio e lì vi resta fino alla Pasqua. Ritorna a anziano poi con tra le mani il suo trattato sul sacerdozio (“De fuga”).

Nel 371 l’imperatore Valente divide in due la Cappadocia. Questo naturalmente porta uno sconquasso anche in ambito religioso, perché alcuni iniziano a sostenere la necessità di eleggere un secondo Metropolita. Basilio di oppone strenuamente e cerca di mettere nelle località-chiave degli amici fidati. Nomina l’amico Gregorio per Sasima, roccaforte ariana, ma questi rifiuta di andarci.

Nel 374 muore il padre e Gregorio viene nominato suo successore. Sentendosi sotto pressione, si rifugia a S. Tecla, a Seleucia, e qui riprende a vivere vita ascetica.

L’anno 379 vede la morte sia dell’Imperatore Valente sia dell’amico Basilio. 

La città di Costantinopoli, da anni ormai, non conosce che vescovi ariani. La comunità nichela, assai piccola, chiede aiuto per potersi riorganizzare. Si rivolgono a Gregorio, che accetta, raggiunge Costantinopoli e lì vi opera come vescovo.

Nel 380 fa il suo ingresso trionfale a Costantinopoli il nuovo imperatore, Teodosio.

Nel 381 viene convocato il Concilio e Gregorio ne è il presidente. Ha come suoi oppositori gli ariani, gli pneumatomachi, la Chiesa di Roma e la Chiesa di Antiochia. I motivi non sono solo quelli teologici; Gregorio viene anche accusato di occupare illegittimamente la sede vescovile di Costantinopoli, essendo egli stato nominato vescovo di Sasima. Nel giugno del 381 abbandona il Concilio, raggiunge Nazianzo, ove viene eletto vescovo della città. Nel 882 però lascia anche Nazianzo e si ritira nella sua casa di Arianzo per dedicarsi agli studi, in solitudine. Muore nel 390.

 

 

La sua teologia

 

Viene chiamato “Il Teologo” dei Cappadoci; la sua dottrina è sicuramente meno profonda di quella di Gregorio di Nissa, ma ha assai più dialettica e poesia.

Dai suoi studi infatti ricava una enorme padronanza della lingua greca; inoltre, come Basilio, crede fortemente nella capacità che l’ellenismo ha di formare lo spirito umano, anche nelle persone di Chiesa. Ha inoltre una indubbia intelligenza che, unita a zelo e sensibilità, lo rende capace in donare ai suoi cristiani nutrimento abbondante e di buon gusto. L’eloquenza dotta e seducente però non influiscono granché sul suo carattere poco incline all’azione.

E’ più incline al dogma che alla morale.

Punti centrali del suo insegnamento sono Cristo e la Trinità: con gli altri cappadoci infatti approfondisce il dogma niceno, per portarlo poi a pienezza nel Concilio di Costantinopoli.

E’ molto sensibile alla dimensione intellettiva della persona: convinto che tutto sia riflesso e segno, ritiene che si debba “osare” nella speculazione teologica, perché ogni cosa è comunque immagine dell’ineffabile. Per questo motivo ammette con serenità l’esistenza di molte questioni aperte, sulle quali è cosa buona discutere apertamente.

Uno dei temi da lui ampiamente trattati è quello dell’Incarnazione. Poggiando su Nicea, afferma che è indispensabile che Gesù dia tutto umanizzato perché l’uomo possa essere tutto deificato. Tale divinizzazione dell’uomo è frutto, ma anche motivo, dell’incarnazione.  Gesù assume in tutto la carne dell’uomo, anche nelle sue imperfezioni, per poter restituire all’uomo il suo essere immagine di Dio: ciò significa che in Cristo l’uomo, per effetto dello Spirito, può tornare alla verità di sé. Gregorio perciò lega indissolubilmente incarnazione e divinizzazione, che si realizza soprattutto nei sacramenti e nelle celebrazioni liturgiche, ove l’uomo viene integrato nell’atto salvifico di Gesù. A differenza dell’Occidente, ove l’incarnazione sfocia nelle esigenze morali, in Gregorio essa impegna in una relazione personale con Gesù. Il cammino di deificazione è per tutti e sfocia nella contemplazione; suo presupposto sono la purificazione e la pratica dei comandamenti.

Il meglio di sé viene dato da Gregorio circa il tema trinitario.

Egli individua una sorta di “pedagogia divina”, secondo la quale nell’AT ci sarebbe stata la manifestazione chiara del Padre e oscura del Figlio, nel NT la rivelazione del Figlio e l’insinuazione della divinità dello Spirito, nella vita della Chiesa infine lo Spirito Santo, la cui divinità è da Gregorio espressamente affermata.

Circa la Trinità, il Nazianzeno insiste sulla identità di essenza tra i Tre, ma anche sottolinea la diversità delle ipostasi, ciascuna con caratteristiche proprie, tutte e tre in reciproca relazione: il Padre è ingenerato, il Figlio ha una generazione eterna, lo Spirito Santo procede. Peculiare è il linguaggio usato, che si allontana dalla terminologia scritturistica o tradizionale. La sua esposizione inoltre non ha mai carattere freddamente speculativo; al contrario, ovunque traspare la sua pietà, la sua esperienza personale, espressa con toni fortemente mistici.

La sua teologia è profondamente religiosa. In alcuni tratti è forte l’influenza plotiniana, soprattutto quando dice di voler oltrepassare le cose per raggiungere la purezza e l’unione con Dio. In altri casi invece è più “cristiano”, interiormente unificato, soprattutto quando parla di Gesù: in questi casi più che un dogmatico Gregorio si presenta come un orante, in adorazione.

E’ sensibile anche alle questioni etiche: si interessa dei poveri e dei malati.

Affrinta anche il tema della verginità e del matrimonio, mostrando verso quest’ultimo una concezione meno pessimista di quella di Basilio.

 

Gregorio non scrive alcun commentario e nessun grande trattato.

D’altro canto il suo carattere instabile difficilmente gli avrebbe permesso di applicarsi in riflessioni ampie e organiche. Al contrario, la sua tendenza all’effusione, unita alla solida preparazione retorica, gli rende consona l’attività oratoria; la gratificazione proveniente dall’applauso del pubblico entusiasta completa il supporto. Ama anche avere interlocutori raffinati, perché lo apprezzano. Di carattere egocentrico, sazia la sua ambizione letteraria scrivendo poesie, a carattere soprattutto autobiografico. Sa sempre ritagliarsi degli spazi da dedicare a se stesso. Nonostante questi tratti fortemente narcisisti, sa comunque mettere il suo indiscutibile talento a servizio della comunità.

 

 

Le sue opere:

 

1) Lettere contro Apollinare: costui accentuava troppo l’unità, in Cristo, tra l’umanità e la divinità. Per questo motivo Gregorio prende posizione affermando che Adamo ha peccato con la sua umanità integrale e dunque per redimere i suoi discendenti era necessario che il Logos assumesse una umanità altrettanto integrale, ivi compresa la dimensione razionale. Al contempo però distingue, nell’unità del soggetto, le due nature di Cristo, quella umana e quella divina, anticipando in questo modo il Concilio di Calcedonia (451).

 

2) Invettive: contro l’imperatore Giuliano, post-mortem. La modalità di espressione è assai violenta, ma questo è dovuto anche al genere letterario scelto (psogos). Il motivo è il tentativo di Giuliano di ridare vita al paganesimo; inoltre aveva cercato di allontanare dalle scuole i maestri cristiano, ritenendoli non adatti a insegnare gli autori pagani.

 

3) Apologia per la fuga: Essendo stato accusato di debolezza e di egoismo per essersi allontanato dopo l’ordinazione presbiterale, in quest’opera motiva il suo comportamento con un timore reverenziale di fronte a un compito tanto alto. Subito dopo accusa tutti quei religiosi indegni , che hanno abbracciato tale stato di vita per i benefici materiali che ne avrebbero ricavato.

 

4) Omelie: Se da un lato esprimono la sua sensibilità verso i poveri, dall’altro l’eccessiva retorica risulta essere soffocante.

 

5) Panegirici: pronunciati in onore dei martiri, dei santi e nelle festività importanti. Vi è anche l’elogio funebre in onore dell’amico Basilio.

 

6) Lettere: è un epistolario concepito come opera letteraria, nel quale però prevalgono argomenti di tipo personale o di modesta importanza.

 

7) Poesie: Gregorio volle essere soprattutto un letterato e scelse la poesia come lo strumento particolarmente idoneo per l’effusione del suo sentimento…e per la sua ambizione… Alcune sono a carattere dottrinale/morale (perciò didascaliche), altre invece sono a carattere storico (se stesso, suoi familiari, ecc)

 

8) Discorsi: sono 45, ad argomento vario. Particolarmente importanti sono i 5 teologici pronunciati a Costantinopoli:

  1. introduttivo, in cui afferma la necessità di una purificazione dalle passioni per poter affrontare questioni teologiche e/o scritturistiche. Il contesto della teologia infatti deve essere l’amore fraterno e l’attenzione ai poveri, non altro (polemica verso Eunomio).
  2. sempre polemizzando con gli eunomiani, che avevano eccessivamente razionalizzato il discorso sulle fede, sostiene che di Dio si può affermare l’esistenza, ma non si può conoscere l’essenza.
  3. affronta il tema della generazione in Dio. Molto spesso infatti si fa il paragone con la generazione umana, ma la mano non va forzata. Il termine “Padre” infatti non dice, in Dio, né l’essenza né l’attività, ma solo la relazione. Per questo motivo la ragione da sola non è sufficiente, è necessaria la fede. 
  4. affronta ancora il tema del “Figlio”, analizzando alcuni passi scritturisti che gli ariani interpretavano in modo subordinazionista; analizza anche alcuni titoli cristologici
  5. espone una autentica teologia dello Spirito Santo. Superando il nominalismo, Gregorio afferma a pieno titolo la divinità dello Spirito Santo e la sua consustanzialità con il Padre e il Figlio. A differenza di quest’ultimo, non è generato dal Padre, ma da Lui procede (il riferimento è a Gv 15,26). Il “come” resta un mistero, esattamente come lo è però la generazione del Figlio.