S. IGNAZIO di Antiochia

 

 

Ignazio è vescovo della Chiesa di Antiochia all’inizio del II secolo, sotto il regno di Traiano (98-117).

Notizie di questo periodo storico si hanno da Plinio il Giovane. Dai suoi scritti si sa che la fede cristiana inizia a uscire dai confini cittadini, raggiungendo le campagne e raccogliendo fedeli di ogni età e condizione sociale. A differenza del periodo precedente, quello di Domiziano, caratterizzato da una aperta persecuzione (la seconda, dopo quella di Nerone), quello di Traiano non può essere definito un periodo di dichiarata violenza contro i cristiani per il loro essere tali. Si hanno delle denunce e delle condanne, la cui matrice però, con evidenza, si mostra essere non la fede, ma piuttosto la questione dei sodalizi (oltre a vendette personali). Sotto il governo di Traiano, infatti, si ha un elevato numero di cristiani che scelgono di abiurare la fede, ma solo due martiri in senso stretto: Simeone, Vescovo di Gerusalemme e Ignazio di Antiochia. 

Quest’ultimo, arrestato nella sua città, godendo della cittadinanza romana, viene inviato a Roma per essere processato. Durante il viaggio che dall’Asia Minore lo porta alla capitale dell’Impero scrive sette Lettere a sette Chiese: Tralli, Smirne, Efeso, Roma, Filadelfia, Magnesia e a Policarpo, Vescovo di Smirne. Queste epistole non sono un trattato teologico, cioè una esposizione sistematica della dottrina e del pensiero dell’autore; esse sono piuttosto una libera effusione del cuore di chi sa di andare incontro alla morte testimoniando la sua fede in Cristo Gesù. Emergono perciò gli aneliti e le tematiche più care; sono una sorta di testamento, di “ultime volontà”. Tra esse, certamente le più emergenti sono:

  1. l’unità della Chiesa attorno al Vescovo
  2. la assoluta concretezza dell’Incarnazione, in aperta confutazione del docetismo
  3. la novità del cristianesimo rispetto al giudaismo.

Proprio parlando ai suoi fratelli nella fede, Ignazio comunica loro la disposizione interiore con la quale si accinge ad accogliere il dono del martirio.

Nella Lettera agli Efesini definisce le catene “perle spirituali” grazie alle quali risuscitare a nuova vita (11,2).

Nella Lettera ai Tralliani, invece, viene evidenziato il fatto che Ignazio è pronto a combattere contro le fiere testimoniando la fede nel Signore Gesù, vero Dio e vero uomo; proprio qui appare la polemica contro il docetismo (10).

Ignazio è però anche consapevole della sua fragilità e della sua imperfezione. Si affida perciò alla preghiera dei fratelli perché sia da essa spiritualmente sostenuto nella lotta da un lato e dall’altro proprio da essa sia perfezionato e possa andare incontro al Dio misericordioso Questo viene espresso sia nella Lettera ai Magnesi (14,1), sia in quella ai Tralliani (12,3), sia, infine, in quella ai Filadelfiesi (5,1).

La Lettera ai Romani è però quella che più ampiamente tratta il tema del martirio e mostra con evidenza come Ignazio vi va incontro. Tale Lettera è scritta dal Vescovo di Antiochia ai fratelli di Roma, affinchè questi ultimi mostrino tutto l’affetto spirituale che gli portano proprio non evitandogli la possibilità di donare la vita per testimoniare Gesù Cristo. Questo lo chiede mentre ancora è padrone di sé stesso, domandando ai fratelli di considerare questa come la sua volontà, casomai la natura si faccia codarda e vacillante di fronte al pericolo (7,1-2).

Ignazio si dichiara frumento di Dio, pronto a essere macinato dalle fiere per divenire puro pane di Cristo (4,1).

Il martirio è per lui la modalità concreta per essere vittima per Dio (4,2), strumento attraverso il quale risorgere libero in Cristo Gesù (4,3).

Essere cristiani è essere discepoli di Gesù: il martirio altro non è, perciò, che essere discepoli fino in fondo, fino a trovare lo stesso Gesù (5,3).

Chiarissima, poi, è la non-esistenza della morte, se non come istante di passaggio per la risurrezione in Gesù, ove si riceve la luce pura e si è autenticamente uomini (6,2).

Infine la morte è lo strumento attraverso il quale saziare la fame del pane di Dio –cioè la carne di Dio- e la sete del suo sangue –cioè il suo amore incorruttibile (7,3).

Il martirio in Ignazio si presenta perciò con due caratteristiche peculiari:

  1. la perfetta espressione della sequela di Gesù, fino al punto di imitarne la passione, la morte e, in Lui e per Lui, la risurrezione. Dentro questa dinamica di dono di sé, la possibilità di fare del proprio corpo una “eucaristia”. Questo può essere letto nel passaggio della Lettera ai Romani 4,1.
  2. il martirio non è un fatto personale, ma sempre e comunque un avvenimento ecclesiale, anche se, concretamente, coinvolge una singola e precisa persona. Questa affermazione può esser fatta a partire dal fatto che Ignazio comunica ai fratelli di fede l’esperienza che è chiamato a vivere, condivide con loro le dinamiche interiori, chiede il loro aiuto e il loro sostegno (dunque il loro coinvolgimento). Questo testimonia la grande passione per l’unità di Ignazio: unità non solo del singolo fedele con la Trinità, ma anche dei cristiani tra loro, corpo unico, Chiesa unica.

Se Ignazio è certamente noto per il suo martirio, non possono però essere trascurati anche altri aspetti che lo caratterizzano.

Innanzitutto la sua passione per l’unità della Chiesa, che poggia su Gesù suo fondatore; unione che è sia mistica sia morale. Tale premurosa sollecitudine rivela che in realtà nella Chiesa di Siria e dell’Asia Minore c’erano non poche tensioni, legate al modo sia di vedere Cristo sia di concepire le relazioni con il giudaismo.

Gesù infatti è per Giustino Colui con il quale vivere e verso il quale andare attraverso la morte: per questo chiede in modo così appassionato ai cristiani di Roma di non evitargli la morte per bocca delle fiere, per non ritardare il suo incontro con il Signore Gesù. Sempre riguardo a Gesù, si oppone con molta forza al docetismo, che riduceva l’incarnazione a una semplice apparizione di Dio in forma umana. Al contrario, per Ignazio sia l’umanità sia la divinità di Cristo sono assolutamente reali e sono la base dell’intero cristianesimo, che deriva dal suo fondatore il suo duplice aspetto di divino e umano, di spirituale e di carnale, di invisibile e di visibile. 

Per quanto riguarda le relazioni con il giudaismo invece Ignazio riconosce al cristianesimo indipendenza e originalità. Indubbiamente quella giudeo-cristiana era una fase di passaggio obbligata, indubbiamente la radice del cristianesimo è giudaica, ma poi l’affrancamento culturale e religioso ha reso autonomo il cristianesimo. Luogo dell’incontro con Dio è infatti per il cristianesimo la persona di Gesù, che è anche la norma interpretativa della Legge e Colui che raccoglie in Sé tutte le genti. Da ciò deriva la questione dell’interpretazione dell’Antico Testamento, che anche per i cristiani permane Parola di Dio, ma da comprendere in relazione al mistero di Cristo. C’è infatti unità di Rivelazione, perché sia la Legge sia il Vangelo provengono da Dio, ma l’Antico Testamento viene interpretato in chiave profetica, come annuncio e preparazione alla venuta di Gesù.

Per Ignazio dunque il cristianesimo è una novità radicale, ma non è un inizio assoluto.