S. CLEMENTE d'Alessandria

Per quanto riguarda Clemente egli opera nell’ambiente alessandrino nella prima metà del III secolo.

Si trova a doversi confrontare con le tre importanti correnti di pensiero che rendevano vivace la città di Alessandria: lo gnosticismo, il giudaismo ellenizzante (che aveva in Filone il teorico più efficace) e la filosofia medio-platonica. E’ importante tenere presente questo substrato per capire la posizione teologica di questo Padre della Chiesa. Della filosofia platonica accoglie la distinzione tra realtà intelligibile e realtà sensibile e quest’ultima considerata copia della prima; si dissocia, invece, nel ritenere la materia come uno dei “principi” del creato, riaffermando la fede nella creazione “ex nihilo”.

Un’altra sottolineatura importante è quella secondo la quale ogni filosofia o ricerca religiosa, se onestamente e correttamente condotta, non può non portare al superamento del sensibile per attingere all’intelligibile, il quale è dotato di propria e autonoma consistenza e strutturazione.

Sulla base di queste premesse, Clemente elabora una sorta di cammino per un graduale avvicinamento al cristianesimo senza che chi lo compie sia obbligato a rompere e rinnegare drasticamente il proprio passato, sia esso esistenziale sia esso culturale; è proprio dentro questo “progetto missionario” che si può individuare la “pedagogia divina”. Questo programma è ben rappresentato dalle tre opere di Clemente:

  1. Protrettico” (che si rifà all’omonimo di Aristotele), in cui vi è un invito alla conversione secondo la modalità propria della filosofia. Per Clemente, infatti la tradizione filosofica è una via di accesso alla verità soprasensibile aperta dal Logos, esattamente come l’Antico Testamento lo è per i Giudei. Tale convinzione poggia sulla “dottrina del simbolo”, secondo la quale vi è un linguaggio universale nascosto, simbolico, che fa sì che le cose sensibili rimandino comunque a quelle intelligibili (vd. “Str.5,21,4”). Secondo Prinzivalli e Simonetti, “Nuovo è lo spirito che circola nell’opera, di serena fiducia, di ferma convinzione nell’azione protrettica del Logos. Di tutti gli antichi scrittori cristiani Clemente è stato per certo il più ottimista riguardo alla natura dell’uomo, ai benefici apportati dalla piaideia e dalla filosofia , anche se solo parziali risateto a quelli donati da Cristo […], alla possibilità di dialogo tra religione crisiiana e cultura greca”.
  2. Pedagogo”, in cui vi è un insegnamento elementare di carattere soprattutto etico;  qui è Cristo stesso che si fa carico della formazione del fedele. Per Clemente, però, l’etica non è una generica morale comportamentale, ma una sorta di rinnovamento antropologico che permette, grazie a una radicale purificazione, di accedere alla conoscenza del trascendente; quest’ultimo, essendo tale, è libero da ogni elemento materiale caduco, perciò può essere conosciuto solo da chi, per scelta, si sforza di essere puro (vd. “Str. 5,71”).
  3. Stromati”, in cui vi è un insegnamento di carattere dogmatico. In questo terzo stadio vi è un salto di qualità nella fede. Essa non è più accettazione previa di principi, a seguito di una conoscenza immediata, ma frutto di un convincimento razionale dopo una accurata dimostrazione. E’ a questo livello che si colloca quella che Clemente definisce “vera gnosi”, la gnosi cristiana. il passaggio da un tipo di fede all’altro non è però questione puramente intellettualistica o volontaristica; il cammino di conoscenza procede di pari passo con quello della virtù, cosicché la gnosi viene a consistere nella contemplazione delle realtà intelligibili, separate da quelle sensibili. Tutto questo, però, in una sorta di “anticipazione”, dal momento che la piena comunione tra l’anima e il Logos è solo dopo la morte, con la rottura del muro della simbolicità per la scomparsa di ogni elemento materiale.

 

Se raffrontato a Ireneo di Lione, una diversità fondamentale pare essere proprio a quest’ultimo livello. Sebbene entrambi combattano contro lo gnosticismo, pare che in realtà Clemente vi rimanga in parte legato, soprattutto quando afferma che la purificazione interiore va di pari passo con la conoscenza, fino all’accesso alla tradizione esoterica (anche se poi, in “Ped.1,1-3”, afferma che l’insegnamento impartito dal Logos ha destinazione universale); Ireneo invece sostiene con chiarezza che la fede è totalmente pubblica, istituzionale, fondata sulla tradizione ecclesiale: non vi è per lui alcun segreto, riservato ad “adepti” o cristiani particolarmente progrediti e spiritualmente maturi.

Un’altra diversità importante riguarda la questione del tempo e della storia. Mentre per Clemente la materia rimanda al trascendente, ma ne offusca la contemplazione attuale, per Ireneo  l’ “oggi” è già luogo di salvezza, inizio di ciò che matura fino al pieno compimento che, come però per Clemente, è dopo la morte.

Terza diversità importante è il valore dato al sensibile, quindi anche alla corporeità dell’uomo. Mentre per Clemente la materia porta il peso del limite ed è destinata a scomparire, cedendo il passo al trascendente intelligibile, per Ireneo anche la materia è destinata alla salvazza, in virtù dell’incarnazione redentiva di Cristo: non è solo l’anima  a essere salvata, ma l’uomo tutto intero, corpo, anima e spirito.

Forse si potrebbe dire che in Clemente vi è una opposizione allo gnosticismo, ma anche una condivisione, da un certo punto di vista, del dualismo (tipico anche, del resto, del pensiero filosofico greco); in Ireneo invece il dualismo è completamente superato e la sua “teologia dell’unità” lo porta a essere in piena sintonia con l’autentico pensiero biblico.