S. ATANASIO d'Alessandria

 

Il contesto in cui Atanasio si trova è  quello di una Chiesa in crisi:

  1. all’interno, per via dell’arianesimo
  2. all’esterno, per via di un potere politico cristiano sempre più invadente

Nel 325 accompagna il suo vescovo Alessandro al Concilio di Nicea, poi gli succede sulla cattedra episcopale dal 328 al 372.

Vive cinque esilii (a Treviri, a Roma e tre volte presso i monaci del deserto, per un totale di 18 anni).

Tre sono le sue peculiari caratteristiche:

  1. è un tenace difensore della fede di Nicea
  2. lotta per l’indipendenza della Chiesa di fronte agli imperatori filo-ariani
  3. sostiene il movimento monastico nascente

 

 

Riceve la formazione classica ad Alessandria, giunge ad avere una buona conoscenza filosofica, ma più che un umanista alla maniera dei tipici alessandrini egli è un uomo di Chiesa. Non si dedica alla speculazione e alla scienza, sulla scia di Origene, in parte anche perché vive un tempo politicamente travagliato (gli imperatori succeduti a Costantino: Costantino II-Costante-Costanzo; Giuliano; Gioviano; Valente e Valentiniano I).

Durante la sua vita non vede risolversi la crisi ariana, ma certamente dà il suo contributo. 

Il suo comportamento di fronte al potere imperiale è esemplare: tutela infatti la purezza della fede e manifesta una chiara coscienza dei rapporti delicati ma precisi tra “sacerdozio” e “impero”.

Non è solo l’uomo della “fede di Nicea”, ma anche il pastore che educa il popolo circa il fatto che una decisione conciliare dogmatica ha valore di regola per la fede; da questo ne deriva che non può esserci comunione tra le Chiese se non c’è sottoscrizione della formula di Nicea.

Ha tuttavia poco seguito tra l’episcopato d’Oriente.

Dal punto di vista teologico, prosegue la riflessione già iniziata da Origene sullo Spirito Santo, questione ancora non definita dai Padri, ma del quale gli ariani negavano, ovviamente, la divinità/consustanzialità con il Padre.

Nella “Lettera a Serapione” (anno 360 circa) Atanasio asserisce che sia il Figlio sia lo Spirito Santo vivono la medesima relazione con il Padre. Suoi punti forza sono il radicamento nella Sacra Scrittura e nella fede viva della Chiesa. Proprio in entrambi si asserisce che, con il battesimo, lo Spirito Santo “divinizza”: come potrebbe perciò divinizzare, se non fosse Egli stesso Dio? 

Questo punto è molto importante perché dice che è ciò che la comunità cristiana vive nei sacramenti che precede e guida la riflessione teologica, mai viceversa.

Non affronta invece la questione dell’origine dello Spirito Santo; dà comunque il suo contributo perché chi viene dopo possa ulteriormente approfondire.

Atanasio è più un testimone della fede però che un pioniere della teologia, come dimostra la sua poca sensibilità verso le questioni lasciate aperte dal Concilio di Nicea e quelle che appaiono nella seconda metà del IV secolo:

  • il vocabolo latino “persona” in relazione al vocabolo greco “ipostasi” -> Atanasio, in maniera alquanto sbrigativa, sorvola sui termini!
  • Cristo “si è fatto carne” o “si è fatto uomo”? Nella cristologia di Atanasio l’umanità di Cristo viene lasciata in ombra (come del resto in tutta la teologia alessandrina)

Nel 357 circa scrive “Sull’incarnazione del Verbo”, in cui sostiene che l’uomo, corrotto a seguito del peccato di Adamo, poteva essere riscattato solo dall’incarnazione del Logos. Questo testo, palesemente anti-ariano, ha carattere sia polemico sia dottrinale.

Sempre del 357 circa sono poi i 3 “Discorsi contro gli ariani”, i quali non hanno un aggancio storico preciso: sono delle apologie contro gli ariani, a Costanzo e per la sua fuga.

Da questi scritti emerge un fortissimo senso della divinità di Cristo, ma la posizione è talmente sbilanciata verso l’unità che risulta mortificata la distinzione.

Pur prendendo le difese dei vescovi niceni intransigenti, sta però ai margini della politica e del dibattito speculativo, perché non ha sufficienti strumenti filosofici e dottrinali per padroneggiare il confronto; inoltre i suoi elementari schematismi lo rendono persona non adatta all’approfondimento teologico.

I suoi scritti presentano infatti uno stile semplice, un senso dell’essenziale della fede e anche un forte attaccamento alla Scrittura, ma anche un vocabolario assai poco tecnico. La violenza verbale è alta, ma d’altro canto non c’è da sorprendersi, perché essa era piuttosto tipica nelle controversie dogmatiche del tempo.

Altre sue opere sono:

  1. Discorso contro i pagani”, del 335 circa, in cui abbonda il platonismo. I temi trattati non sono granché originali: contro l’idolatria, il panteismo, a favore del monoteismo avendo a base la filosofia, la mediazione del Logos e la contemplazione del cosmo
  2. Lettera della dottrina di Dionigi
  3. Lettera sui concili di Rimini e di Seleucia" (del 359)
  4. Tomus ad Antiochenus” del 362
  5. Lettere”, tra cui hanno una certa qual importanza quelle inviate alle Chiese egiziane e ai monasteri con finalità liturgiche (ad es per la data della Pasqua), ma anche quelle a a carattere pastorale

Fa anche dell’esegesi (di tipo pastorale) sui salmi e tratta il tema della verginità.

Durante i suoi esili nel deserto, Atanasio viene a contatto con il movimento monastico, che si nutre di ascesi e di celibato, e che ha proprio in Egitto uno dei luoghi di massima espansione. Atanasio non solo osserva il monachesimo nascente, ma anche ne fa propaganda, soprattutto attraverso la “Vita di Antonio”. 

I pilastri fondamentali che descrive sono:

  1. povertà
  2. lavoro manuale finalizzato alla carità
  3. preghiera e meditazione della Sacra Scrittura
  4. lotta contro il demonio
  5. ritorno al mondo, dopo essere stati purificati e colmati di Spirito Santo

Nel tratteggiare la vita di Antonio però, accanto al dato biografico, introduce questioni che sono sue, di Atanasio, più che di Antonio (in particolare la concezione ideale della vita monastica, nonché temi filosofici quali la ragione in lotta con le passioni).

 

Valutazione critica di Atanasio:

  • la sua attività incontra favore in Egitto e in Occidente, ma non nell’Oriente cristiano, soprattutto per due motivi: il suo terribile carattere e perché ha manipolato la sua elezione a vescovo di Alessandria
  • ha indubbiamente sensibilizzato Roma circa la questione ariana, ma la sua presentazione non solo non è stata oggettiva, ma è arrivato a convincere che la sua sorte personale coincidesse con la sorte dell’ortodossia della fede nicena. La conseguenza è l’ulteriore inasprimento delle relazioni e l’ulteriore ingarbugliamento della questione ariana
  • ha ridotto la riflessione trinitaria a pochissimi concetti, impoverendola ed esasperando le posizioni; si è palesemente dimostrato incapace di coordinare in sintesi organica tutte le componenti della questione
  • la sua cultura buona, ma non alta, ha operato il distacco dell’episcopato dalla tradizionale scuola alessandrina
  • per la sua ambizione personale e per la gelosa tutela del potere e del prestigio della sua sede episcopale, più che un vescovo, è parso un faraone cristiano.