DOCETISMO

 

Il docetismo nasce come eresia cristiana all’interno del più vasto movimento gnostico. In realtà non sarebbe corretto parlare di “movimento”, in quanto non ha una organizzazione concreta, una chiesa. E’ più opportuno parlare di “maestri gnostici”, ciascuno con i suoi seguaci, aventi un insieme di idee comuni, attinte dal giudaismo, dal cristianesimo, dalle religioni orientali e dalla filosofia.

Il contesto culturale nel quale affonda le radici è piuttosto complesso.

Nel mondo ellenistico infatti è ormai tramontata la fede negli dei, fede che ha sostenuto il pensiero e la cultura delle origini e della ascesa della potenza greca.

Alle domande esistenziali e al bisogno religioso il mondo ellenico risponde ora secondo una triplice modalità a seconda dei tre gruppi sociali che, a grandi linee, costituiscono la popolazione ellenica.

 

Un primo modo è quello che vede nella filosofia la modalità di risposta alle domande esistenziali. Numerose sono le scuole, le correnti di pensiero, le modalità di approccio al problema. Per citare le più rilevanti: scetticismo, epicureismo, stoicismo, Platone e Aristotele, ciascuna con le sue peculiarità.

Naturalmente questa modalità di approccio all’esistenza e di ricerca di risposte alla domanda religiosa coinvolge e soddisfa solo una stretta cerchia di persone, quella degli intellettuali.

 

Non fa fatica perciò a farsi strada un’altra modalità di ricerca religiosa, quella che accoglie i riti esoterici di provenienza orientale. Anche in occidente si diffonde il culto di Iside, Osiride e Serapide (dall’Egitto), come anche quello di Cibele e Attis (dall’Asia Minore), di Atargatis e Adone (dalla Siria) e di Mitra (dalla Persia). Questi culti misterici trovano un’ampia risonanza nel ceto medio della popolazione: senza un impegno intellettuale troppo elevato, soddisfano infatti alla domanda di vita oltre la morte. Essi, però, sono caratterizzati da culti complessi, richiedono una iniziazione, ecc., perciò non trovano aderenti tra la gente semplice.

 

Per questo strato di popolazione si spalanca perciò la strada della superstizione, che si nutre di astrologia, di magia, di oracoli e di pseudo-miracoli.

 

Un’altra caratteristica del senso religioso greco-romano è quella del “culto dell’Imperatore”. Viene introdotto nella società ellenica da Alessandro Magno e subito passa a Roma. Rimane in auge fino al I secolo, fino a quando cioè gli Imperatori non cominciano a pretenderlo non post-mortem, ma mentre sono ancora in vita e, soprattutto, quando il loro comportamento non può certo dirsi dei più esemplari. Questo culto però più che a bisogni religiosi risponde a necessità politiche, cioè al trovare mezzi per tenere unito e compatto l’Impero.

 

Alternativa alla religiosità greco-romana è il giudaismo, nel suo duplice volto di giudaismo palestinese e di giudaismo alessandrino. Gli ebrei infatti si presentano come un popolo peculiare, che da un lato non rifugge i contatti con il mondo circostante, ma dall’altro, proprio a motivo della sua fede, mai vi si mescola. Sa infatti di essere guidato dall’unico vero Dio, Jahwè, che gli si rivela come suo Signore; ha coscienza di essere non solo popolo eletto, ma anche strumento di salvezza per tutti i popoli, soprattutto per mezzo del Messia, atteso e desiderato. Il popolo ebraico vive nella terra di Palestina e ha come sua norma di vita la Torah, consegnata da Dio a Mosè sul Sinai.

A questo forte gruppo si affianca quello della diaspora, costituito da quegli ebrei che, a partire dall’VIII secolo a.C., vivono in Asia Minore e nel mondo mediterraneo. Proprio per il contesto sociale in cui sono inseriti, essi rimangono fedeli alla fede dei padri, ma non all’uso della lingua anche nel culto (da cui la traduzione dei LXX) e ad altre norme legate e Gerusalemme e al tempio. E’ questo giudaismo alessandrino la culla di Filone.

 

In questo contesto culturale e religioso trova i suoi natali il cristianesimo. Alcuni elementi favoriscono certamente l’accoglienza e la diffusione di esso, come ad esempio il senso di vuoto lasciato dal fallimento delle antiche religioni, il bisogno di redenzione dell’umanità che porta a guardare ai culti misterici, la spinta al monoteismo che anche nel mondo ellenico comincia a rendersi manifesto.

Dall’altro lato però il cristianesimo si scontra con non poche difficoltà, quali il non poter avvallare il culto all’Imperatore, la depravazione morale legata ai riti orientali (vere e proprie orge...sacre), l’ironia beffarda degli intellettuali. Resta infatti sempre molto difficile l’accoglienza del concetto dell’Incarnazione e, ancor di più, l’idea che Dio, fattosi uomo, soffra, muoia e risorga. Da questo punto nodale scaturiscono tutte le eresie, tra cui quella del docetismo, consistente nella negazione della incarnazione di Gesù. Per essi la venuta nella carne è solo apparente. Substrato culturale di sostegno può essere trovato nella filosofia ellenica, là dove presenta la figura del Demiurgo (Platone) e tutta la problematica relativa al rapporto tra la trascendenza assoluta di Dio e il mondo della materia, realtà sempre imperfetta e limitata.

 

Al docetismo i Padri Apostolici reagiscono con molto vigore e chiarezza.

Ignazio di Antiochia affronta l’argomento in sei delle sue Lettere (è assente solo in quella ai Romani). In quella agli Efesini li definisce “bestie feroci”, “cani  idrofobi”, “persone che compiono azioni indegne di Dio”, gente da evitare perché incurabili (7,1-2). Toni meno coloriti, ma non meno fermi, sono usati in quella ai Tralliani (6,1-11,2); qui viene indicata anche la via per non andare incontro alla morte, cioè il rimanere fedeli a Gesù Cristo, ai precetti degli Apostoli e il non separarsi dal Vescovo. Nella Lettera agli Smirnesi, invece, viene esposta la retta dottrina (Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, vero Dio e vero uomo) e viene indicata anche la ragione della sicura morte delle “belve umane”: la loro lontananza dall’Eucaristia e dalla preghiera (1,1-7,2).

Riferimento nella Lettera a Policarpo è in 3,1, in quella ai Magnesi in 8,1 e nei Filadelfiesi in 2,1-3,3.

Anche Policarpo, nella Lettera ai Filippesi, parla dei doceti, definendoli “anticristo”, perché non riconoscono che Cristo è venuto nella carne, “primogenito di Satana”, perché dicono che non vi è né risurrezione né giudizio e persone “dalla parte del Diavolo”, perché non confessano la testimonianza della croce (7,1). Anche nella terminologia non si può non pensare qui a 1 Gv 4,2-3. Proprio per i rapporti avuti da Policarpo con gli Apostoli, si può dedurre che tale vigore e tale chiarezza di risposta fosse espressione della precisa posizione assunta dalla prima comunità cristiana nei confronti del docetismo e, più in generale, di tutto lo gnosticismo.