CENACOLO GIOVANNEO

Mensilmente la nostra Comiunità si raduna per formarsi alla scuola del Quarto Vangelo. 

Una scelta motivata da una duplice ragione:

1) il Quarto Vangelo in se stesso

2) S. Giovanni è stato "maestro spirituale" di Madre Serafina della Croce.

In questa sezione vogliamo condividere le tracce di riflessione da noi preparate.

Iniziamo con oggi anche questo nuovo percorso tra le pagine del Vangelo di Giovanni.  Esso ritmerà il nostro camminare non verso l’esterno, ma verso la profondità della nostra esperienza spirituale, perché sia veramente tale, veramente cristiana, veramente evangelica, veramente comunitaria.

L’incontro di oggi sarà introduttivo, perché è necessario porre le corrette coordinate per camminare all’interno dei vangeli e, in modo particolare, del vangelo di Giovanni.

La prima domanda che ci poniamo è: che cos’è il “vangelo”?

Il termine deriva dal greco euangélion. Nel mondo classico esso sta a indicare la ricompensa che viene data per la comunicazione di una buona notizia (per esempio per una vittoria militare: Milziade, capo dell’esercito, incarica il soldato Filippide di portare ad Atene il vangelo -la buona notizia – della vittoria degli ateniesi sui persiani). Nella traduzione greca dei LXX usano questo termine nel senso di “buona notizia” (cfr. 2 Sam 4,10) e, come verbo, “recare una buona notizia” (cfr. 2Sam18,19-20). Il Nuovo Testamento usa questo termine sempre al singolare e conferma il senso teologico che già aveva assunto nell’Antico Testamento; il “vangelo” è la buona notizia di Gesù di Nazaret, è il lieto messaggio riguardante Gesù.

Gli scritti che noi identifichiamo come “vangeli” vengono chiamati tali per la prima volta da Giustino nella sua Prima Apologia: “Gli apostolo, infatti, nelle memorie da loro lasciate e che si chiamano vangeli, così tramandano….” (66,3). Queste “memorie” sono dei racconti che hanno per oggetto la parole pronunciate e i fatti compiuti da Gesù. Il loro scopo però non è quello di raccontare una serie di avvenimenti, ma di mostrarne il carattere salvifico: come cioè Dio è entrato nella storia attraverso la persona di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio. Conseguenza: condurre chi legge/ascolta alla fede in Gesù. Per questo non ci si può aspettare che siano delle cronache di quanto è avvenuto. Il che però apre a una questione di grande importanza, cioè quella della relazione tra storia e teologia, cioè tra narrazione storica e interpretazione di fede. 

L’evangelista non è uno scrittore che attinge al materiale che ha a disposizione in maniera arbitraria: egli certamente scrive per una comunità ben precisa, ma restando al servizio di una memoria accolta e condivisa. Come per tutti gli autori biblici, anche gli evangelisti sono persone di tradizione. Per questo la lettura e l’interpretazione  del testo va fatta nella sua interezza, cioè nella sua unità di tradizione e redazione.

Chi legge i vangeli non si incontra dunque con la storia di Gesù, ma con l’annuncio che di Lui hanno fatto le quattro diverse comunità, a partire dalle necessità che esse avevano; in tutti però si incontra in kerygma, già teologicamente elaborato.

Fino al secolo XIX si è pensato che il primo vangelo a essere stato scritto fosse Matteo. Anche nelle assemblee liturgiche preconciliari era il Vangelo di riferimento. Con gli studi storico-critici si è giunti a ipotizzare che la formazione dei vangeli sinottici sia stata diversa.

Il primo vangelo a essere stato redatto sembra essere quello di Marco. E’ poi supposta un’altra fonte, detta Q, che però non è giunta a noi. Matteo, scrivendo il suo vangelo, certamente conosce sia Marco sia Q, ma attinge anche da fonti proprie; ugualmente dicasi di Luca, che conosce sia Q sia Marco, ma ha anche fonti proprie. Si può affermare questo a partire dall’analisi, dall’ordine e dalla formulazione del materiale. Matteo e Luca si ignorano reciprocamente. 

Questione aperta: la fonte Q è solo una ipotesi, ma accreditandola si riesce a risolvere il maggior numero di questioni con il minor numero di ipotesi. E’ dunque la più economica, per questo la si reputa verosimile. D’altro canto considerare Marco come riassunto di Matteo e Luca è difficile da sostenere: come può un autore scegliere di peggiorare in maniera così evidente lo stile linguistico? Luca ha infatti un greco decisamente raffinato…

E Giovanni?

Giovanni si staglia solitario accanto ai sinottici, brillando per originalità letteraria e prospettiva teologica; soprattutto quest’ultimo aspetto ha fatto sì che i Padri della Chiesa lo definissero “vangelo spirituale” (Clemente Alessandrino) e il suo autore “teologo”: epitteti da interpretarsi per antonomasia.

Il genere letterario di questo scritto è identico a quello degli altri tre: è un racconto kerygmatico la cui finalità è suscitare la fede di una comunità in Gesù, il Cristo, Figlio di Dio. “Vangelo”, dunque, è anche un preciso genere letterario.

Di esso noi abbiamo il testo greco, in una condizione testuale molto buona, certamente migliore di quella dei sinottici. Il papiro più antico è del 125 dC e contiene pochi versetti del cap. 18 (P52); papiri del II e III secolo dC )p66 e P65) riportano per intero i capitoli 1-14 e parti dei capitoli 15, 16, 19, 20 e 21. Proprio l’avere a disposizione reperti così antichi è sufficientemente convincente per ritenere che non esista altra versione che quella greca; in realtà alcuni studiosi hanno ipotizzato una prima versione aramaica del testo (presenza di aramaismi, passi oscuri in greco che risulterebbero più chiari pensando a un aramaico sottostante, variazioni tra le versioni greche, ecc), ma la maggior parte degli esegeti ritiene che queste questioni siano insufficienti per ipotizzare l’esistenza di un testo aramaico di cui nessuno tra i Padri antichi ha in realtà mai parlato e che nessuno ha mai ritrovato. 

Il linguaggio giovanneo è molto ricco di semitismi, con numerosi riferimenti all’Antico Testamento e alle tradizioni giudaiche: questo testimonia che il suo autore è di lingua e cultura ebraica, che utilizza il greco come seconda lingua. Il linguaggio utilizzato è semplice, come è nella cultura di Israele: i concetti elevati non vengono espressi con termini astratti, ma attraverso immagini quotidiane (il deserto, l’acqua, le pecore, ecc). Lo stile è sobrio ed essenziale, il greco non è forbito (preferito l’uso di coordinative alle subordinative). Ha però una fine arte letteraria: procedendo a spirale, ripete continuamente i suoi pensieri andando in sempre maggiore profondità e creando in questo modo una vera atmosfera contemplativa.

Oltre al procedere a spirale, lo stile giovanneo è caratterizzato anche da:

  1. Inclusioni: richiama alla fine un dettaglio presente all’inizio; questo aiuta a delimitare le sezioni narrative.
  2. Doppi significati e fraintendimenti: spesso l’evangelista usa termini che già di per sé hanno un doppio significato (es: avverbio “anothen”, che dignifica “di nuovo” ma anche “dall’alto”)
  3. Ironia: sulla bocca degli avversari di Gesù compaiono spesso parole sprezzanti, sarcastiche o inadeguate. L’evangelista non si preoccupa di rettificare quanto detto da queste persone, confidando nell’intelligenza del lettore.
  4. Note esplicative: l’evangelista si intromette nel racconto con frasi parenetiche per comunicare direttamente con il lettore per aiutarlo a interpretare correttamente le parole di Gesù (2,21), o per correggere dei possibili errori (4,20), o per ricordargli qualcosa di già narrato precedentemente (7,50).

L’evento narrato, cioè Gesù di Nazaret, è lo stesso dei sinottici, ma gli episodi narrati e la modalità di racconto sono diverse. Le somiglianze sono a livello di genere narrato (“vangelo”) e di episodi comuni. Le differenze riguardano delle omissioni, la cronologia, la topografia, l’importanza delle feste ebraiche, il ministero in Samaria, come viene presentato Giovanni suo cugino, il racconto della passione, i racconti di risurrezione, ecc.

Gli studiosi sono arrivati a queste conclusioni:

  1. Non vi è alcuna dipendenza letteraria diretta tra il QV e i sinottici
  2. La tradizione giovannea ha avuto origine in Palestina e ha avuto contatti con tradizioni pre-sinottiche: QV e sinottici dunque sono tradizioni parallele e contemporanee.
  3. Ogni vangelo si rivolge a una comunità specifica. Quella di Giovanni è costituita da un gruppo omogeneo di cristiani, formatosi all’interno del giudaismo, che dopo essere stato espulso dalla sinagoga si è trovato esposto al mondo esterno, dominato dall’ellenismo. In questo contesto i cristiani hanno maturato un loro concetto personale di chi fosse Gesù e cosa significasse vivere i suoi insegnamenti. E’ nato così un testo che da un lato è profondamente legato al mondo giudaico, ma dall’altro è anche aperto al mondo esterno, in una modalità completamente diversa rispetto ai sinottici

Chi è l’autore del QV? Moltissime sono le ipotesi proposte da storici ed esegeti, che hanno presentato teorie assai complesse. Secondo R. E. Brown alla base della tradizione storica del QV c’è un testimone oculare, cioè Giovanni, figlio di Zebedeo. Questi ha trattato con libertà i propri ricordi, nel tentativo di adattare la sua tradizione alle esigenze dei suoi ascoltatori. Il testimone oculare infatti è anche apostolo, quindi inviato nel mondo a predicare e annunciare il kerygma, adattando l’interpretazione delle parole e dei detti di Gesù secondo le esigenze della predicazione e degli ascoltatori. Questo materiale primitivo viene poi organizzato in racconti drammatici e raffinati, come anche in solenni discorsi, da una comunità che, sotto la sua guida e supervisione, predica e sviluppa ulteriormente le sue memorie; all’interno di questa comunità vi è un discepolo che è responsabile della composizione del QV e che viene chiamato dagli studiosi “evangelista”. Egli scrive la prima versione del Vangelo mentre il testimone oculare è ancora vivo e in intimo contatto con lui all’interno della comunità. Una terza figura è quella del redattore, altro discepolo della cerchia giovannea, che scrive dopo la morte dell’apostolo, che dà la sistemazione finale al QV nella versione che è giunta a noi, aggiungendovi il cap. 21. 

Proprio per questo il QV è un vangelo testimoniale: tramandato da un testimone oculare, Giovanni, il quale si circonda di una comunità di testimoni, da cui provengono la prima e la seconda edizione del vangelo. 

Per dovere di precisione, c’è da dire che la pericope dell’adultera (7,53-8,11), che interrompe i discorsi di Gesù in occasione della festa dei Tabernacoli, assente in molti codici, per stile e linguaggio sembra essere di mano lucana; anche il Prologo (1,1-18) ha caratteristiche stilistiche che si allontanano dallo stile del QV. Ipotesi proposte: spostamenti accidentali, redazioni multiple, fonti multiple…

Il QV è stato composto non prima del 75dC e non dopo il 110 dC, molto probabilmente tra il 90 e il 100.

Circa il luogo di composizione, alcuni studiosi propongono Alessandria d’Egitto, altri Antiochia di Siria, la maggior parte Efeso.

Per quanto riguarda la macrostruttura del QV, può essere così presentata:

1,1-18            Prologo

1,19-12,50     Libro dei segni

                                                1,19-51          Le prime testimonianze su Gesù

                                                2,1-4,54         Da Cana a Cana

                                                5,1-10,42       Gesù alle feste dei Giudei

                                                11,1-12,50     La prefigurazione della morte di Gesù

13,1-20,31     Libro dell’ora

                                                13,1-17,26     L’ultima cena e i discorsi d’addio

                                                18,1-19,42     La passione

                                                20,1-29          Le apparizioni del risorto

21,1-25          Epilogo

 

 

 

 

 

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