1,1-2

1 Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος, 

καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν, 

καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος. 

2οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν θεόν.    

Apertura dei testi evangelici

Come abbiamo avuto modo di dire già nell’incontro precedente il vangelo di Giovanni si distacca completamente dalla gennaio 2020 Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo”.

In Luca: proemio di stampo tipicamente ellenistico, come abbiamo avuto modo di dire nella 1° adorazione del 1° giovedì del mese, quando abbiamo iniziato il percorso tra le pagine di questo vangelo.

Nel QV invece il prologo non ha la finalità di spiegare il perché del testo redatto, ma immette subito nella dimensione teologica: inno liturgico, è una confessione di fede, pur restando assolutamente dentro la storia. 

L’ἀρχή di cui parla Marco - che peraltro può essere tradotto anche con “fondamento” - per Giovanni è da subito il λόγος, che è Dio stesso; il che significa affermare che la storia di Gesù di Nazaret, la sua incarnazione, affonda le sue radici nella esistenza eterna di Dio. Esattamente qui sta il piano metastorico e teologico. 

 

Elementi di discontinuità ed elementi di continuità

Il prologo occupa i primi 18 versetti del cap. 1 del QV. Ha dei forti elementi di discontinuità rispetto al resto del testo. Innanzitutto ha un tono poetico, mentre il resto del QC è narrazione piana, di carattere storico; poi ci sono dei vocaboli presenti soltanto qui (λόγος/Verbo, χάρις/grazia, πλήρωμα/pienezza); poi ci sono fratture teologiche, nel senso di temi che poi non vengono ripresi nel resto del QV (v. 3, v.10, v.14. Il prologo infine non può essere considerato né come propedeutico al resto del QV, né come suo riassunto: descrive soltanto la questione della pre-esistenza rispetto all’incarnazione: il che significa che è il suo presupposto e la sua possibilità teologica. Detto in altri termini, il prologo dà la chiave di lettura del QV e dice quale è il nocciolo della questione. 

Detto ciò, ci sono anche degli elementi di continuità tra il prologo e il resto del QV: innanzitutto anche altrove Gesù viene chiamato Θεός/Dio come il Padre (20,18); inoltre alla fine del prologo Gesù viene presentato come il “rivelatore del Padre”, e l’intero QV esplicita la questione; ancora, c’è la questione del “testimone”, che all’inizio è Giovanni, il cugino di Gesù, poi Giovanni l’apostolo, come abbiamo già accennato nello scorso incontro. Ci sono poi dei temi teologici che vengono ripresi nel QV (φῶς/luce, κόσμος/mondo, λήθεια/verità, πιστεύω/credere, γινώσκω/conoscere). Sono esattamente questi tempi che collegano il prologo al resto del vangelo. 

 

Prologo e QV: quale relazione?

Molti studiosi hanno cercato di comprendere quale rapporto ci sia tra il prologo e il QV.

Alcuni lo hanno ritenuto un inno gnostico pre-cristiano, legato in particolare a quei gruppi che ritenevano Giovanni Battista il Rivelatore. Se cioè l’inno gnostico proveniente dalla religione mandea considerava Giovanni Battista come la Luce, i cristiani hanno apportato la correzione di Gesù come vera Luce e Giovanni Battista come testimone. 

Altri studiosi lo hanno ritenuto un inno proto-cristiano, cioè un testo nato indipendente rispetto al QV, ma all’interno della comunità cristiana. Molteplici le ipotesi:

  1. è un antico inno alla Sapienza che si ispira alla tradizione sapienziale veterotestamentaria
  2. È è una composizione dell’evangelista, a partire da un poema filosofico dedicato al Λόγος
  3. È un testo derivato dalla fusione di un inno a Cristo “Verbo di Dio” con aggiunte posteriori (vv. 6-8.12-13.15.17)
  4. È un inno al Λόγος  visto nella sua opera creatrice (cfr Genesi), riletto alla luce della incarnazione (intesa come ri-creazione del mondo)
  5. È un inno originale protocristiano scritto in tre tempi: a) vv 1-2.3-5.10-12.14.16; b) 12b-13 per spiegare in che modo gli uomini diventano figli di Dio e 17-18 per chiarire l’espressione “grazia su grazia”; c) vv. 6-8.15 che è la parte riguardante Giovanni Battista.

Da ultimo altri studiosi ritengono il prologo parte integrante del QV, suo proemio; la particolarità di linguaggio è da intendersi come volontà dell’autore di introdurre il vangelo nell’ambiente ellenistico. Centro del prologo è il v. 14, ove vi è l’annuncio dell’incarnazione del Λόγος: dove cioè i pagani parlano di verità, Giovanni afferma che Gesù è il Λόγος fatto carne. 

Anche riguardo alla divisione stilistica con cui solitamente il prologo viene riportato nelle nostre Bibbie, secondo alcuni autori essa dipende da questioni contenutistiche, il che significa che di prosa si tratta e non di poesia. In realtà se si tenta di applicare lo stesso criterio a tutto il resto del QV la cosa non funziona, quindi una sorta di schema ci deve essere e il periodare è oggettivamente diverso rispetto al resto del QV. 

Si può concludere affermando che il prologo è una cristallizzazione dei temi teologici più importanti del QV, che poi lì vengono ripresi e spiegati: una vera e propria ouverture. 

 

Struttura del prologo

Per quanto riguarda la struttura, 4 sono i modelli proposti:

1) modello cronologico: suo obiettivo è mettere in luce le diverse tappe della storia della salvezza

  • vv. 3-5:  il Λόγος e la creazione
  • vv. 6-14: la manifestazione del Λόγος nella storia e la sua incarnazione
  • vv. 15-18: l’accoglienza del Λόγος incarnato
  • vv. 1-2: preesistenza del Λόγος

   Criticità: la divisione non può essere in realtà così rigida e non tutto può essere riferito al Λόγος  

   pre-esistente, ma piuttosto a Gesù 

2) modello concentrico: lo schema è A - B - C - B’- A’. Dove C sono i vv. 12-13

3) modello del parallelismo: l’evangelista espone un concetto in una pericope, poi lo sviluppa e lo 

   completa nella pericope successiva. Secondo questo modello il prologo può essere diviso in tre 

   sezioni:

  • vv. 1-5: il Λόγος di Dio diventa luce del mondo
  • vv. 6-14: l’incarnazione del Λόγος
  • vv. 15-18: l’unico Figlio rivela il Padre.

   In ciascuna di queste tre sezioni sono presenti 4 temi:

            * annuncio o descrizione del Λόγος:   I -> vv.1-2

                                                                         II -> 6-8

                                                                        III -> v.15

            * arrivo nel mondo della rivelazione portata dal Λόγος:  I -> vv. 3-4

                                                                                                      II -> v. 9

            * risposta dell’umanità:   I -> v. 5

                                                     II -> vv. 10-13

                                                    III -> v. 16

            * descrizione dell’oggetto della fede, l’unico Figlio del Padre:  II -> v. 14

                                                                                                                III -> vv. 17-18

4) trittico liturgico: il prologo viene considerato come un inno in tre tempi: 

  • vv. 1-5: il Λόγος è mediatore che assicura vita e luce
  • vv. 6-16: il viaggio del Λόγος nel mondo
  • vv.14-17: il Λόγος di Dio diventa carne in Gesù

   Il v. 18 fa da ponte tra il prologo e il QV.

 

Consideriamo i primi due versetti: argomento è la pre-esistenza del Λόγος, il suo rapporto con Dio Padre, la sua natura divina. Sostanzialmente viene detto che il Λόγος esiste da sempre, dunque è eterno come Dio, del quale condivide la natura divina e con il quale ha una relazione particolare perché è “rivolto” verso di Lui.

La prima parola che compare è ἀρχή: è esattamente lo stesso termine di Mc 1,1 ma ancor di più è il termine di Gen 1,1. Le origini però non si fermano ad Abramo, o ad Adamo, o alla creazione: qui infatti viene affermata una esistenza che precede tutto questo.

Il verbo utilizzato, ἦν/era è un imperfetto: questo tempo verbale indica uno stato che perdura nel tempo, quindi indica chiaramente l’eternità di Dio, a differenza della creazione; a conferma di ciò, il verbo utilizzato sia per le cose è γίνομαι/divenire e il tempo è l’aoristo che indica l’azione fattuale, in se stessa, indipendentemente dalle categorie di tempo e durata. 

Scrivere … significa allora affermare con chiarezza che il Λόγος è persona divina che esisteva prima della creazione: si differenzia dalla Sapienza che in Sir 24,9 viene presentata come la prima realtà che compare nel mondo, la prima delle creature. 

In Giovanni il Λόγος/ ἀρχή è l’eterno originario di Dio che sta al di là del tempo storico.

Nel v. 1 il verbo ἦν/era è presente 3 volte, ma ha significati differenti:

  • I -> indica l’esistenza eterna di Dio
  • II -> indica la modalità dell’esistenza -> abitava, dimorava, era rivolto verso
  • III -> indica l’essenza del Λόγος, cioè è definito nella sua divinità.

Nella 2° riga si legge: καὶ ὁ λόγος ἦν πρὸς τὸν θεόν.

Il termine Θεόν  è accompagnato dall’articolo e, quando è così, in Gv significa sempre “il Padre”; nel prologo però il termine “Figlio” compare solo nei vv. 14 e 18, per questo viene tradotto con “Dio”; è però importante tenere presente questo, perché è un rimando preciso.

Viene poi utilizzata la preposizione πρός, che contiene 3 possibili sfumature:

  • se, come in questo caso, è seguito da un accusativo, può avere il significato dinamico di “rivolto a…”
  • nel greco della koiné può avere anche valore statico ed essere perciò equivalente alla preposizione παρά, cioè “presso”
  • può essere visto come simile all’ebraico le, che indica appartenenza -> “il Λόγος apparteneva a Dio”

Traducendo, si deve optare per una soluzione, ma è bene non perdere le altre possibili, che la lingua greca in effetti contiene.

Nella traduzione proposta si opta per la 1°, sia per questioni grammaticali (la presenza dell’accusativo), poi perché nel dire che il Λόγος era “rivolto a Dio” significa affermare non solo la prossimità (cioè il concetto contenuto nella 2° possibilità di traduzione), ma che era in relazione con Lui: il Λόγος orientato verso il Padre, dal quale è distinto, rimane in perfetta comunione con Lui dentro una dinamica di ascolto e recezione. 

Nella 3° riga si legge: καὶ θεὸς ἦν ὁ λόγος.

Qui il termine Θεός è senza articolo. La costruzione greca dive che il soggetto è   Λόγος e Θεός è suo predicato. Il concetto espresso da questa struttura sintattica è che il Λόγος non è Dio Padre, ma è Dio; al contempo però non è una divinità generica, altrimenti sarebbe stato utilizzato l’aggettivo θεῖος (e in questo c’è un netto distacco dallo gnosticismo con le sue teorie sulle “emanazioni”). 

Unendo la 2° e la 3° riga emerge come tra il Λόγος e Dio Padre vi sia intima vicinanza, ma non fusione di identità: il Λόγος è indipendente dal Padre e non è a Lui identico, pur essendo persona divina, pur avendo natura divina, pur non essendo l’unico a possederla.

 

Il v. 2 è sintesi di quanto detto nel v. 1, solo che il termine Λόγος viene sostituito dal pronome οὖτος/questi. Il termine guarda indietro e avanti nello stesso tempo, quindi dice che il Λόγος pre-esistente/Dio/rivolto verso il Padre è anche colui che entrerà nella storia umana incarnandosi.