1,12-13

12 σοι δ λαβον ατόν

δωκεν ατος ξουσίαν τέκνα θεο γενέσθαι

τος πιστεύουσιν ες τ νομα ατο, 

13 ο οκ ξ αμάτων

οδ κ θελήματος σαρκς

οδ κ θελήματος νδρς

λλ’ κ θεο γεννήθησαν.

 

 

Siamo giunti al centro di tutto il Prologo. 

Il primo fatto che balza all’orecchio è il forte contrasto con i versetti precedenti: al netto rifiuto di alcuni, c’è ora l’accoglienza di altri, resa ancora più evidente dall’avverbio δέ/invece, fortemente avversativo. Vengono poi elencati i frutti della accoglienza del Verbo; secondo il biblista Bruno Maggioni si è davanti al kerygma giovanneo, che verrà poi sviluppato lungo tutto il quarto vangelo.

 

Al v.12 sono presenti 2 verbi all’aoristo, che esprimono una precisa azione nel passato: ἔλαβον/accolsero ed ἐγεννήθησαν/furono generati. Segue poi un participio presente (τοῖς τιστεύουσιν/loro che credono), che dice un fatto che perdura nel tempo: la fede che trasforma l’uomo e gli dona una nuova identità, come indica l’infinito aoristo: γινέσθαι/diventare.

L’aoristo ἔλαβον viene dal verbo λαμβάνω, che in Giovanni assume tre significati:

  • Prendere/afferrare (13,4)
  • Ricevere quanto spetta o un dono (4,36; 14,17)
  • Accogliere una testimonianza o una persona (3,11; 5,43; 19,27; 19,40)

In questo caso la traduzione più corretta è la terza; è molto interessante il rimando a 3,11 e 19,40: Nicodemo, che non era riuscito ad accogliere Gesù nella fede, ce la fa al momento della Sua sepoltura. Accogliere naturalmente vuol dire credere. Nel quarto vangelo non viene mai utilizzato il termine τίστις/fede, ma il verbo πιστεύω/credere, che esprime un atteggiamento concreto, vitale ed esistenziale; seguito dalla preposizione εἰςdice  proprio il dinamismo della fede, che non è accettazione di una dottrina, ma cammino verso Dio.

 

Il v. 12 poi inizia con una struttura sintattica particolare: ὅσοι δὲ ἔλαβον αὐτόν, fatta per attirare l’attenzione del lettore, con la ripresa  nel pronome αὐτοῖς e poi nell’articolo τοῖς

Proprio a costoro viene fatto seguire un verbo all’ infinito aoristo (γενέσθαι): diede potere. Il che significa che il diventare figli di Dio non è una ipotetica possibilità, ma una realtà già data: si diventa cioè tali nel momento esatto in cui si accoglie il Verbo. Se la realizzazione è puntuale, la condizione di questo dono, cioè il credere, è espressa mediante un participio presente (πιστεύουσιν εἰς), che dice il continuo impegno a tenere viva la fede. Questo concetto viene poi riespresso in Gv 6,29.

Questo essere figli di Dio viene espresso mediante il sostantivo τέκνα, cioè “bambini”; per indicare Gesù Figlio di Dio viene invece utilizzata un’altra espressione: υἰός Θεοῦ: la nostra figliolanza e quella di Gesù cioè non sono la stessa cosa, non diventiamo figli per mezzo del Figlio.

 

Il v. 13 inizia con un pronome che in alcuni manoscritti è il plurale (οἳ), ma in altri al singolare (ὅς): ci si riferisce dunque alla nascita dei figli di Dio  o del Figlio di Dio? In questo secondo caso ci si troverebbe di fronte a uno dei riferimenti più antichi della nascita verginale di Gesù. In questa direzione vanno molti Padri latini, quali Tertulliano, Ambrogio e Agostino, ma anche Giustino e Origene. Anche degli esegeti moderni optano per questa scelta.

Molti manoscritti greci invece portano il plurale. Perché mai si sarebbe dovuto rinunciare a un così importante riferimento al concepimento verginale di Maria? Inoltre di Gesù, nel vangelo di Giovanni, mai viene detto che è “generato”, mentre lo si dice dei credenti (cfr 3,3-8 e 1Gv 3-9;4,7;5,1.4.18a). L’inghippo può essere forse spiegato ricorrendo al latino, ove compare “qui” che è un nominativo sia singolare sia plurale. 

 

ἐξ αἱμάτων in italiano non può essere tradotto che con un singolare, sangue, ma in greco è un plurale. Tale uso è rarissimo e qui sta a significare il sangue che proviene e dalla madre e dal padre che, mescolandosi, danno origine a una nuova vita. Naturalmente il riferimento biologico non è corretto, ma sappiamo come nella Scrittura il Sangue esprima la vita.

 

ἐκ θελήματος σαρκὸς è il desiderio sessuale; il termine carne qui indica la dimensione fisica dell’uomo (si è già visto come il termine “carne” possa avere molteplici significati).

 

ἐκ θελήματος ἀνδρὸς: è la visione maschilista del tempo, secondo la quale è il maschio il promotore del processo del concepimento.

 

ἀλλ’ ἐκ θεοῦ ἐγεννήθησαν: è Dio il soggetto del processo generazionale, che è spirituale: non si esclude ovviamente la vita biologica, ma essa viene utilizzata come metafora di quella nascita che si compie con il battesimo. Dio si conferma dunque creatore non solo del cosmo, non solo della creazione di ogni vita biologica, ma anche dei suoi figli, resi tali dallo Spirito.