La Chiesa, ciascuno di noi, le nostre comunità

non possono capirsi e definirsi

se non in relazione alle radici sante della nostra fede

e quindi al significato del popolo ebraico nella storia,

alla sua missione e alla sua chiamata permanente.

Card. Carlo Maria Martini 

 

Dopo la Nostra Aetate, il magistero della Chiesa Cattolica è tornato più volte sull’argomento della particolare relazione esistente tra ebraismo e cattolicesimo. 

La supposizione fondamentale ormai acquisita è che la storia di Israele non si conclude affatto con il 70 dC, anno della distruzione del Tempio di Gerusalemme a opera dei romani. Anche dopo quella data infatti Israele rimane come un fatto storico e come un segno da interpretare nel piano di Dio. 

Fondamentale per la riscoperta del significato ecclesiologico di Israeel è il contributo di F. Mussner il quale, commentando il passo paolino della Lettera ai Romani 11,15-21, afferma che Israele e la Chiesa non stanno affatto l’una di fronte all’altra come due realtà indipendenti. Piuttosto la Chiesa “dei gentili” è innestata sul pollone della radice di Israele. Ciò significa, fuori metafora, che c’è un rapporto indissolubile che, nella storia della salvezza, unisce Israele e la Chiesa. Il modello della sostituzione, secondo cui la Chiesa sarebbe subentrata come “nuovo” popolo di Dio al popolo “antico”, attraverso la sua eliminazione, deve assolutamente essere perciò rimpiazzato con quello paolino dell’innesto: 

 

“Non è che Israele sia sostituito dalla Chiesa, oppure che Dio abbia piantato un altro ulivo oltre a Israele; vi è un solo ulivo, Israele, e in questo ulivo la Chiesa è innestata. I rami d’Israele potati dall’ulivo, alla fine verranno nuovamente innestati (rm 11,4), il che include senza equivoco il fatto che questi rami nel frattempo vengono conservati e non seccano, nè vengono bruciati; è proprio questo il punto da notare. Se questo ulivo, con la sua radice porta la Chiesa..., la Chiesa stessa continua a vivere d’Israele e non può fare a meno d’Israele se non vuole seccare. Staccherebbe se stessa dal tronco e dalla radice, se si dimenticasse di Israele (Mussner, Il popolo della promessa, Città Nuova, Roma,1982).

 

Per questo il dialogo ebraico cristiano, pur entrando nel grande alveo del dialogo interreligioso, non può essere assolutamente paragonato al dialogo con tutte le altre tradizioni religiose; ancora, il dialogo ebraico cristiano è a fondamento anche del dialogo ecumenico (cioè del dialogo tra le chiese e le comunità cristiane: Ortodosse, Cattolica, della Riforma), perchè è l’ebraismo la radice e il tronco del cristianesimo: solo recuperando la verità di questa relazione si recupera in pienezza l’identità cristiana, da cui, di conseguenza, la diversità delle tradizioni nell’unità della fede.

 

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