Presentazione

 

“A due polmoni”: il titolo raccoglie il desiderio più volte espresso dall’amato Papa Giovanni Paolo II a che l’Europa tornasse a respirare con entrambi i suoi polmoni, quello occidentale e quello orientale. 

Un invito dunque innanzitutto a…respirare. Tutti ben sappiamo che è la preghiera il respiro non solo dell’anima, ma dell’intera nostra esistenza. E’ principalmente nella preghiera infatti che recuperiamo la nostra più vera posizione di creature di fronte al Creatore; ancor più però recuperiamo la nostra identità di figli immensamente amati dal Padre, che è tutto e solo Amore e che, perché tale, ci chiama a entrare nel dialogo d’amore che da sempre si consuma tra Lui, il Figlio Amato e lo Spirito Santo Amore. 

Se questa è la nostra vocazione di figli e se la preghiera è il tempo e il luogo privilegiato per recuperare la consapevolezza della nostra chiamata e farne esperienza concreta, è pur vero che l’avventura della preghiera non è affatto scontata, piana, lineare, immediata.

Ben lo sa chi, a un certo punto del cammino spirituale, sente il bisogno di passare “dalle preghiere alla preghiera”, dalle formule all’incontro profondo con  Gesù nel silenzio dell’anima.

Respirare, dunque.

Respirare però “a due polmoni”, cioè attingendo a piene mani alla tradizione della Chiesa cristiana di occidente come a quella di oriente.

Parte della tradizione occidentale, quella cattolica, indubbiamente ci costituisce, è “noi stessi”. Chi di noi non si è mai accostato personalmente a qualcuno degli scritti dei grandi maestri della nostra tradizione spirituale? S. Francesco di Sales, S. Teresa, S. Giovanni della Croce, la piccola-grande Teresa di Lisieux, la forse meno conosciuta ma non certo meno gigante figura di Elisabetta della Trinità, Edith Stein, Chiara e Francesco d’Assisi, Padre Pio… 

Questi per citare i più conosciuti…

 

 

L’invito di Giovanni Paolo II però era quello di imparare a respirare con due polmoni.

Ecco dunque la scelta di non fermarci alla sola nostra tradizione cattolica occidentale, ma di spingere il nostro sguardo a 

Est, alla tradizione d’oriente, a quella russa soprattutto (inseparabile, naturalmente, dalla sua matrice greca e dal suo contesto slavo). Ci accostiamo silenziosamente, umilmente, accogliendo con gratitudine quelle perle preziose contenute nella tradizione e nei riti liturgici di quella Chiesa, così diversa per storia e sensibilità dalla nostra latina, ma a noi così indispensabilmente complementare.

Perché la preghiera sia feconda però -pur restando essa comunque un dono- è necessario che sia ben preparata; lo è se è nutrita di solidi contenuti teologici e se la vita, come etica e come morale, è in sintonia con il credo professato. 

“A due polmoni” perciò offre non solo suggerimenti per la preghiera, ma anche contenuti di dottrina cristiana, perché non solo l’anima, ma pure la mente chiede di essere nutrita. Nutrimento alto della mente è appunto la teologia, offerta sempre alla doppia tavola dell’oriente e dell’occidente cristiano. 

Sebbene oggi sia cosa comune sentir parlare di ecumenismo, non sempre però di questo tema si ha conoscenza precisa. Presentiamo perciò ora righe semplici ma indispensabili per collocarci in maniera corretta all’interno di questo tema.

 

 

Introduzione

 

Se nell’Enciclica “Ut unum sint”  sull’ecumenismo Giovanni  Paolo II chiama “Chiese e Comunità ecclesiali sorte dalla Riforma” quelle nate in Occidente a seguito della separazione di M. Lutero dalla Chiesa cattolica , affermando che con esse ci sono divergenze non solo di indole storica, sociologica, psicologica e culturale, ma soprattutto di interpretazione della verità rivelata (cfr. documento al n° 64),  nei n° 55-58 così si invece si esprime a riguardo dell’Oriente cristiano: 

“ Il Decreto conciliare ‘Unitatis redintegratio’ nel suo orizzonte storico tiene presente l'unità che, malgrado tutto, fu vissuta nel primo millennio. Essa assume in un certo senso configurazione di modello. "È cosa gradita per il sacro Concilio [...] richiamare alla mente di tutti, che in Oriente prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi Apostoli". Il cammino della Chiesa è iniziato a Gerusalemme il giorno di Pentecoste e tutto il suo originale sviluppo nell'oikoumene di allora si concentrava attorno a Pietro e agli Undici (cfr. At 2,14). Le strutture della Chiesa in Oriente e in Occidente si formavano dunque in riferimento a quel patrimonio apostolico. La sua unità, entro i limiti del primo millennio, si manteneva in quelle stesse strutture mediante i Vescovi, successori degli Apostoli, in comunione con il Vescovo di Roma. Se oggi noi cerchiamo, al termine del secondo millennio, di ristabilire la piena comunione, è a questa unità così strutturata che dobbiamo riferirci. Il Decreto sull'ecumenismo mette in rilievo un ulteriore aspetto caratteristico, grazie al quale tutte le Chiese particolari permanevano nell'unità, la "preoccupazione - cioè - e la cura di conservare, nella comunione della fede e della carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, ci devono essere tra le Chiese locali". Dopo il Concilio Vaticano II e ricollegandosi a quella tradizione, si è ristabilito l'uso di attribuire l'appellativo di "Chiese sorelle" alle Chiese particolari o locali radunate attorno al loro Vescovo. La soppressione poi delle reciproche scomuniche, rimovendo un doloroso ostacolo di ordine canonico e psicologico, è stato un passo molto significativo nel cammino verso la piena comunione”.

 

 

“Chiese sorelle”

 

Espressione importantissima, la quale già di per sé richiederebbe un adeguato approfondimento, ma che in questa sede non possiamo fare in maniera adeguata (rimandiamo alla “Nota sulla espressione ‘Chiese sorelle’ “ emanata dalla Congragazione per la dottrina della fede il 30 giugno 2000 e portante la firma dell’allora prefetto Card. Joseph Ratzinger). 

E’ però proprio essa che ci indica la posizione esatta nella quale collocarci per guardare all’Oriente cristiano: non qualcosa (o, meglio, qualcuno!) di lontano da noi, che con noi ha poco o nulla da spartire, ma bensì qualcosa –o qualcuno- che ci è costituzionalmente familiare, che “ha del nostro”, come appunto due sorelle che appartengono alla stessa famiglia, che hanno un DNA comune. Due sorelle che, nei secoli, si sono separate e allontanate, ma che l’amore del comune e identico Padre chiama a conversione. 

Di altro infatti l’unità non è frutto che della conversione di entrambe al Signore Gesù e al Suo Vangelo.

Siccome però tutti viviamo nella storia e di essa ciascuno di noi porta i segni, non possiamo inoltrarci nel cammino spirituale sulle orme del Pellegrino Russo senza conoscere, almeno a grandissime linee, da quale tradizione culturale e spirituale tale testo proviene.

Ecco il perché di questo numero di “A due polmoni”, numero ancora introduttivo, ma assolutamente indispensabile.

 

 

Un po’ di storia

 

Se lo scisma tra la Chiesa d’Occidente e la Chiesa d’Oriente si è consumato nel 1054, le sue radici affondano molto prima nella storia, nel remoto IV secolo.

Trasferendo, nel 324, la sua capitale dalle rive del Tevere alla sponda europea del Bosforo infatti l’imperatore Costantino pose, certo a sua insaputa, le basi di numerose controversie che, con il passare del tempo, si sarebbero trasformate in un conflitto permanente tra la Chiesa latina e le Chiese d’Oriente. 

Costantinopoli raggiunge in fretta la prosperità,  vanta una Chiesa che rifulge nei suoi riti e fiorisce di uomini santi e dotti; questo esattamente mentre il decadente impero latino agonizza e muore sotto l’assalto dei Barbari. 

 

Anche se fondate sulla stessa fede, definita dai sette grandi Concili ecumenici, Roma e Bisanzio non tardano, nel V e VI secolo, a diventare a poco a poco estranee l’una all’altra, per poi finire per separarsi del tutto. 

E’ il frutto di un processo lungo e complesso dove si mescolano divergenze culturali (la civiltà “greco-romana” si scinde tra la sua componente latina e la sua componente ellenica), eventi storici (il dominio dei Franchi a ovest e l’espansione dell’Islam a est ), rivalità geopolitiche (il Sacro Impero romano-germanico contro l’antico Impero romano-bizantino), controversie dottrinali e conflitti ecclesiologici. Il risultato è, nel 1054, lo scisma tra Roma e Bisanzio , scissione suggellata nel 1204 dal sacco di Costantinopoli durante la sesta Crociata. 

 

 

 

Nel 1453, minata da controversie intestine secolari, Bisanzio soccombe all’assalto dei Turchi e da allora vive per secoli sotto il giogo ottomano.

Mentre però Bisanzio vacilla e crolla, già la fede ortodossa ha raggiunto la “Santa Russia” (988, conversione al cristianesimo del Grande Principe di Kiev Volodymyr, chiamato nel battesimo Basilio), che guarda a Mosca, giovane capitale dell’impero nascente come a “terza Roma”, dopo appunto Roma e Bisanzio.

L’Occidente da una parte, l’Oriente dall’altra, ciascuno sembra proseguire sulla propria strada, di fatto incurante e disinteressato delle sorti dell’altro. 

Questo fino alla fine del XIX secolo, quando una nuova sensibilità si affaccia all’orizzonte, sensibilità che porta alla nascita del Movimento Ecumenico. Grandi i passi compiuti nel XX secolo di cui quello miliare e irreversibile è sicuramente stato quello del gennaio 1964 quando Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora si sono abbracciati a Gerusalemme, recitando il “Padre nostro” mano nella mano, prima di togliere ufficialmente gli anatemi del 1054.

Molto è stato fatto, molto resta da fare.

I risultati certo non trascurabili delle commissioni di dialogo teologico e degli incontri tra gli esponenti delle gerarchie sono importanti, ma non sono sufficienti. 

L’ecumenismo ufficiale infatti porta frutti tangibili a lungo termine solo se viene sostenuto e accompagnato da un altro ecumenismo, più interiore e spirituale. 

Il luogo primo dell’unità non è la mente, ma il cuore; per questo essa non è primariamente il risultato di confronti teologici e dottrinali, ma della conversione personale e comunitaria a quella verità che, come abbiamo già detto, è il Signore Gesù e il Suo Vangelo. 

Il cammino dell’unità passa dunque attraverso un processo spirituale di “metanoia”, di purificazione interiore, di preghiera, di umiltà e di “conversione dei costumi”, come dicevano i Santi Padri.

 

 

Le Chiese ortodosse

 

Non esiste un’unica Chiesa orientale ortodossa, né un’unica tradizione dottrinale che si possa chiamare ortodossa. Tanto l’unità quanto la diversità costituiscono un tratto marcato della vita dell’Oriente cristiano.

Schematizzando - ma non riducendo – possiamo dividere le Chiese ortodosse in 3 famiglie:

 

  1. calcedonesi. Sono le Chiese dell’impero romano d’oriente e quelle che furono create da missioni bizantine. Per lo più sono in comunione con il Patriarca di Costantinopoli. Nate da una Chiesa Madre, alcune di esse sono autocefale, altre solo autonome (a seconda del grado di maggiore o minore indipendenza dalla Chiesa Madre che le ha generate). La Chiesa Ortodossa Russa appartiene a questo gruppo.

 

  1. non-calcedonesi o pre-calcedonesi. Sono quelle la cui separazione ebbe luogo dopo che si rifiutarono di accettare le deliberazioni dottrinali del Concilio di Calcedonia del 451 (nel quale venne condannata la dottrina di Eutiche, che sosteneva che Gesù avesse solo la natura divina, non quella umana). Dette anche Chiese monofisite, termine però oggi meno accettabile.

 

  1. Chiese orientali che accettano l’autorità del papa di Roma, ma che conservano liturgia e costumi orientali. In passato denominate “uniate”, sono ora meglio indicate come chiese cattoliche greche o di rito orientale .

 

 

Quali divergenze, oggi

 

Il dialogo tra le due Chiese Sorelle ha fatto grandissimi passi avanti; a livello teologico permangono pochissimi punti ancora da chiarire. Questi sono:

 

  1. modalità di intendere il primato di Pietro, vescovo di Roma (dunque del suo successore, il Papa)
  2. dottrina del Purgatorio
  3. dogma dell’Immacolata Concezione

 

Esistono poi questioni legate al Diritto Canonico, ma che appunto non riguardano la sostanza della fede.