La Chiesa ci ha posto tra le mani la “Liturgia delle Ore” che, anche dopo la vigorosa riforma liturgica attuata dal Concilio Vaticano II, comprende l’Ufficio delle Letture. Molte “seconde letture” continuano a essere tratte dai Padri della Chiesa. Avrebbe potuto essere diverso, avrebbero potuto essere introdotti passi di altri autori; anche oggi si potrebbe ventilare la sostituzione con brani presi dai grandi teologi del ‘900: da von Balthasar a Rahner, a De Lubac, a De Chardin, a Ratzinger, a Schillebeekx, a Congar, a Daniélou, a Panikkar… Ma così non è. Si prosegue nella scelta di restare alla scuola dei Padri. Eppure i loro testi sono molto complessi: ci sono lontani per sensibilità, per linguaggio, per questioni trattate, per modalità di argomentazione… Noi non abbiamo la loro stesa matrice culturale, dunque non può esserci immediata la comprensione; ma se non comprendiamo, lo strumento donatoci dalla Chiesa non raggiunge lo scopo.

 

L’obiettivo che ci prefiggiamo è quello di comprendere in profondità ciò che leggiamo. E’ ovviamente l’ “in profondità” che fa la differenza…

 

Non vi è altra via per andare in profondità che lo studio. 

San Bernardo, in un passo che leggiamo proprio nell’Ufficio, dice: “amo perché amo”, come a dire che l’amore non ha altra motivazione che l’amore stesso. 

Lo stesso può essere detto della conoscenza: la conoscenza non ha altra ragion d’essere che se stessa. Per conoscenza non si intende il nozionismo, ma la ricerca contemplativa della verità in quanto tale. La conoscenza è un bisogno fondamentale dell’essere umano: certamente non legato ai bisogni primari - che l’uomo condivide con gli altri esseri animali -, ma costitutivo dell’essere uomo. Se non vi è bisogno di conoscenza, si è al di sotto dell’umano. 

Nel caso specifico poi la conoscenza di cui parliamo ha per oggetto Dio, l’uomo e la relazione tra i due - siamo infatti nel campo della teologia -. 

Infine, scopo di questa conoscenza è rendere la preghiera dell’Ufficio un’azione sempre meno dell’uomo e sempre più umana

 

Questioni preliminari

1) l’età patristica va dall’epoca subapostolica (il primo testo di riferimento è la “Didaché”, composto alla fine del I secolo) a Isidoro di Siviglia per l’Occidente (+636) e Giovanni Damasceno (+750) per l’Oriente. In realtà alcuni considerano l’ultimo Padre della Chiesa Occidentale Beda il Venerabile (+735) e il patriarca Fozio l’ultimo Padre della Chiesa Orientale (+890)

 

2) Agostino prima (nella polemica sul peccato originale con Giuliano), Vincenzo di Lerino  (“Commonitorium”, anno 434) stabiliscono i criteri per cui un autore può essere considerato “Padre della Chiesa”. Essi sono:

    * ortodossia di dottrina

    * santità di vita

    * approvazione della Chiesa

    * antichità

Alcuni autori come Severino Boezio, Benedetto, Cassiodoro, Gregorio Magno, Isidoro di Siviglia, Leoncio, Massimo il Confessore, Pseudo-Dionigi e Giovanni Damasceno, per essere precisi, appartengono al periodo patristico, ma sono più propriamente detti “Padri nel Medioevo” (Alto Medioevo, VI-IX secolo).

Per completezza di informazione, si parla poi anche di neo-patristica, intendendo tutto quel movimento di pensiero che, a partire dal XIX secolo, ha fortemente contribuito al rinnovamento teologico mediante un potente ritorno ai Padri della Chiesa.

 

3) le questioni dogmatiche cruciali sono nate e sono state risolte in Oriente. 

Questa è la ragione per cui il grosso della riflessione patristica è di matrice greca. 

Questo non significa però che esista solo questa patrologia! La seconda grossa componente è certamente quella latina. Esistono però molteplici altre patologie, che per una serie di ragioni sono rimaste spesso in ombra, ma che sono di inestimabile valore: basti pensare a quella copta, etiopica, siriaca, ai maroniti, alle Chiese dell’India, dell’Armenia e della Georgia. Ha senso però approfondire questo genere di letteratura solo in seconda battuta, cioè dopo aver conosciuto il corpus greco e il corpus latino.

 

4) non è possibile affrontare un percorso di conoscenza dei Padri della Chiesa prescindendo dalla storia, dalla geografia, dalla politica, dalla filosofia e più in generale dalla cultura in cui ciascuno di loro è nato, si è formato, ha vissuto e ha operato. La riflessione sulla Rivelazione infatti di necessità ha dovuto far ricorso alle categorie filosofiche del tempo; gli stessi Padri, persone tutte di altissima cultura, si sono formate alle scuole pagane del tempo, senza ripudiarle, anzi! (se perseveriamo nel cammino e arriviamo a parlare dei Cappadoci, lo vedremo in maniera molto esplicita). 

 

5) la patrologia viene comunemente divisa in pre-nicena e post-nicena. 

Il concilio di Nicea del 325 infatti segna uno spartiacque di sostanziale importanza. In esso viene affermata in maniera definitiva che Gesù di Nazareth è vero uomo e vero Dio, ponendo fine -dogmaticamente parlando- alla controversia ariana. I 200 anni di storia precedente sono caratterizzati inizialmente da una forte testimonianza della fede in Gesù di Nazareth quale Messia (una sorta di processo di acquisizione della propria specifica identità in relazione soprattutto al giudaismo), poi da un dover cominciare a fare i conti con vari tipi di eresie, di matrice più o meno gnostica. Esse non vanno assolutamente guardate come una piaga della Chiesa; al contrario, al di là di innegabili motivazioni politiche, nel loro nucleo più autentico nascevano dal desiderio di meglio comprendere un dato che indubbiamente sorpassa la capacità di comprensione razionale dell’uomo, ma che pure domanda che l’adesione della fede sia ragionevole (in ultima analisi la teologia è essenzialmente questo). Senza questo confronto dialettico, non si sarebbe potuti giungere alla chiarezza dogmatica che i Padri ci hanno donato. 

 

Documento della congregazione per l'educazione cattolica circa lo studio dei Padri della Chiesa - anno 1989 - 

http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccatheduc/documents/rc_con_ccatheduc_doc_19891110_padri_it.html