Si è ora dinanzi alla città del Cuore delle Divine Meraviglie. E’ una Città posta all’interno del Cuore di Gesù, ove i Serafini vi abitano e ove le Serafine sono invitate a entrare. L’ingresso è la ferita del cuore di Gesù, una ferita d’amore, quell’amore che ha per unità di misura la croce, un amore che irraggia e attira a sé le anime, un amore che genera luce, quella luce capace di illuminare le menti degli uomini e mostrare loro lo splendore della Verità.
Per entrare in questa Città però sono necessarie delle condizioni. Questo è il significato delle cinque àncore, legate con una catena d’oro alla ferita del Cuore di Gesù e che sorreggono cinque piccoli cuori ardenti. Sono tre simboli che abbiamo già incontrato nelle rappresentazioni precedenti. I piccoli cuori sono coloro che si sono risolutamente incamminati lungo il sentiero spirituale e che hanno fatto esperienza di Dio Amore; hanno perciò fatto la scelta di diventare anch’esse tutte e solo amore, sia per poter conoscere sempre di più e sempre meglio la Trinità, sia perché hanno compreso che la verità del loro essere è essere amore. Tale amore non è mellifluo, bensì consiste in solide virtù vissute nella concretezza del quotidiano. Questo il significato dell’àncora. La catena d’oro lega al cuore di Gesù, per dire la solidità e la preziosità del legame tra l’anima e Gesù, come anche tra Gesù e l’anima.
Nel cammino già si partecipa della natura di Dio, già si vive di amore e per amore.
C’è solo un impedimento possibile: la libera scelta di non vivere in unione con Gesù. Questo preclude ogni partecipazione all’amore di Dio.
La città del Cuore delle Meraviglie contiene ogni nutrimento necessario alla Serafina per vivere la vita del paradiso. Come si può vedere dal disegno, sotto ogni arco c’è un simbolo della fede, che è nutrimento per l’anima: le tavole della legge, il pellicano che nutre i suoi piccoli con il suo sangue, l’Eucaristia, lo Spirito Santo, il Calvario, la presenza della Santissima Trinità, l’agnello dell’Apocalisse, la Chiesa, il Sacro Cuore… Anche quando la Serafina vive nella permanente unione con Dio, è importante che continui a nutrirsi non solo di orazione, ma anche della sana dottrina e che viva la vita spirituale nella Chiesa. Non vi è infatti autentica vita spirituale nell’isolamento: sempre si è popolo di Dio, sempre si è Chiesa. A unire tutti gli alimenti di cui ogni colomba può nutrirsi – secondo il suo bisogno – è il tralcio di vite con abbondanti grappoli di uva.
L’immagine della vigna ricorre molte volte nella Sacra Scrittura, nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Essa sempre indica il popolo di Dio, che il Signore coltiva e cura. Nel vangelo di Giovanni si legge che Gesù è la vite e noi, tralci, per portare frutto, dobbiamo essere innestati in Lui. S. Paolo invece, nella sua lettera ai Romani, espone il piano della salvezza di Dio e afferma che Dio mai viene meno alla sua alleanza, che ha stipulato in primis con Israele. E’ perciò Israele la vite vera e noi, per portare frutto, dobbiamo innestarci su di lei. Questo per dire come il Mistero salvifico di Dio opera nella storia: dapprima Israele, poi la Chiesa, poi tutte le genti. Il disegno universale di salvezza abbraccia tutti, senza mai escludere nessuno. Ciò significa che noi non possiamo fare a meno di Israele, non possiamo fare a meno dell’Antico Testamento, ma nemmeno possiamo fare a meno di annunciare la salvezza a ogni popolo, in ogni lingua, in ogni tempo.
Da ultimo, il vino nuovo sarà la bevanda della Gerusalemme celeste, là dove saranno radunate genti da ogni dove e là dove si vivrà avendo come unica legge l’amore. Ancora di più, là dove ognuno non sarà che amore e altro non farà che amare.