Anche in questo disegno a essere centrale è il cuore di Gesù, con le consuete caratteristiche che ormai abbiamo ben imparato a riconoscere. E’ un cuore ardente di amore, che ha per misura la Croce. Al centro del cuore vi è come un cole raggiante: è la ferita vista dall’interno. Nei racconti evangelici della Passione si legge che un soldato trafisse il costato di Gesù e ne uscì sangue e acqua. Nei precedenti disegni da tale ferita uscivano le grazie che Gesù riversava sulla persona, ma rappresentava anche la porta di ingresso per l’anima desiderosa di vivere in unione con Dio. Chi ha scelto di vivere in comunione con Gesù 24 ore su 24 può contemplare la ferita del cuore di Gesù dal di dentro. Essa è luminosa, perché l’amore è luce e come la luce irraggia e illumina. Del resto lo dice anche S. Giovanni nella sua 1° lettera: «Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c'è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato» (1,5-7).

All’interno del sole raggiante sono rappresentate tre rose: sono il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. 

Esse sono poste una accanto all’altra, ma tutte sullo stesso livello.

A noi può sembrare cosa ovvia, ma i nostri Padri nella fede hanno impiegato circa 400 anni per arrivare a comprendere e a definire in dogma dapprima della piena divinità e umanità di Gesù, al Concilio di Nicea nel 325, poi della divinità dello Spirito Santo, al primo Concilio di Costantinopoli nel 381. Questo è avvenuto all’interno di una riflessione ecclesiale che ha visto i grandi Padri impegnati nel discernimento tra molteplici eresie, frutto non di menti scioccamente ribelli, ma persone pensanti impegnate pure loro nel tentativo di comprendere realtà infinitamente superiori alla mente umana.

Questo ci dona l’occasione per riflettere su una questione sempre di fondamentale importanza. La nostra fede in Gesù è stata resa possibile dall’ininterrotto tramandarsi di essa, di generazione in generazione. Noi siamo solo uno degli ultimi anelli di questa lunghissima catena. Per questo dal nostro cuore dovrebbe sgorgare un sentimento di infinita gratitudine verso chi ci ha preceduto: persone certo con i loro limiti e le loro fragilità, ma che pure prima di noi hanno creduto nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e che hanno reso più semplice ora a noi credere nella medesima Trinità. 

Ancora, queste tre semplici rose ci offrono l’opportunità di riflettere sul nostro modo di trasmettere la fede: il contenuto – cioè la Tradizione – non le forme in cui essa si esprime – cioè le tradizioni -. Mentre la prima è essenziale, le seconde sono legate alle contingenze storiche, mutevoli e dunque relative. Arroccarsi su queste ultime significa cadere nel ridicolo… 

D’altro canto la modalità di vivere ed esprimere oggi la fede non è iniziativa personale o, peggio ancora, individuale. Sempre il discernimento è all’interno della Chiesa, come ben testimoniano per esempio le vicende di S.Francesco e dei catari… o di Martin Lutero…

 

Una seconda riflessione ci viene offerta dall’azzurro presente all’interno del sole e che fuoriesce: è l’acqua della grazia, che si declina nelle infinite grazie che Gesù dona alla persona che sceglie di dissetarsi presso di Lui. Vi è un’eco già nel salmo 42: «Come la cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, o Dio. L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?».

Anche Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: "Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva"» (7,37-38).

Il desiderio di Dio è certamente quello di riempire chi si rivolge a Lui con l’abbondanza delle Sue grazie. C’è però una condizione essenziale da parte della persona: essere vuota, per poter accogliere l’acqua della grazia. Se si è pieni di sé e delle proprie cose, non c’è spazio per ricevere. Essere vuoti significa aver percorso il cammino ascetico di cui abbiamo ampiamente parlato a proposito del quinto Cuore. Questo il senso della coppa che sta sotto il sole e che è piena di acqua.
La scorsa volta siamo andati alla scuola dei Padri del Deserto: Anche i Maestri di spirito temporalmente a noi più vicini hanno parlato di consolazioni e di desolazioni, di notti dei sensi e dello spirito, . Cambia il linguaggio, la forma, ma il contenuto è sempre il medesimo. Il tempo dell’aridità è prezioso, anche se doloroso, perché purifica il nostro io da ciò che non serve e lo rende sempre più capace di accogliere l’essenziale, che è la vita divina in noi. Quanto dovremmo essere grati quando ci raggiunge la notte!

 

L’ultimo spunto di riflessione riguarda il cuore che è posto sulla sinistra del disegno. Lo riconosciamo, è il cuore della persona che ha iniziato il cammino spirituale. E’ già ardente di amore, come il cuore di Gesù. E’ a Lui legata con le catene d’amore. Già si disseta delle grazie che Dio le elargisce. E’ interessante la rappresentazione del canaletto cui la colomba, legata per il collo alla catena, si abbevera. Indica un’anima che ancora non è entrata pienamente nel cuore di Gesù, come se stesse muovendo i suoi primi passi. Ma nulla impedisce di essere raggiunti dalla grazia di Dio, se si desidera Dio! Dio è così ardente di amore che ci raggiunge ovunque, ma il suo amore è così rispettoso della nostra libertà che attende che noi compiamo i nostri passi, secondo i nostri tempi. All’interno del cuore della persona vi è un piccolo cerchio luminoso punteggiato di rosso: ogni grazia di Gesù illumina e fa si che il vizio diventi virtù (il puntino rosso, appunto). Col proseguire del cammino spirituale si entra progressivamente dentro il cuore di Gesù e qui accadono due cose fondamentali. Innanzitutto non si è più legati con una catena, sebbene sia una catena di amore, perché ormai si è fatto del cuore di Gesù la propria dimora. La seconda è che si scopre di non essere affatto gli unici che vi dimorano! E’ quello che in realtà abbiamo letto prima dalla 1° lettera di Giovanni: «se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri». Siamo popolo, siamo Chiesa, siamo famiglia di Dio! Chi va da solo, non vive un autentico cammino spirituale cristiano. Sempre il cammino spirituale ci riporta alla comunità, ci fa comunità. Più intensamente hai lo sguardo rivolto a Dio, più vedi i fratelli e le sorelle accanto a te, soprattutto quelli che vivono nel dolore. Più cammini spiritualmente, più ti accorgi dei bisogni degli altri e ti metti a servirli. Non sempre è facile: per questo si è famiglia, per sorreggersi a vicenda nei momenti di inevitabile sconforto. Per questo si è diversi: per completarsi reciprocamente, mettendo a servizio i doni che ciascuno ha. La comunione è la virtù in risposta al vizio della superbia, della vanagloria, dell’invidia e della gelosia.