Il primo Cuore che viene presentato a Madre Serafina è un cuore ardente, circondato da fiamme che rappresentano l’amore che ha spinto Gesù a restare in mezzo a noi sotto le specie eucaristiche. Questa specificazione ritornerà frequentemente anche nei successivi Cuori e dice la grande importanza carismatica del percorso che ci viene offerto: la chiamata a conoscere Gesù e a fare esperienza del Suo amore infatti è certamente universale, ma mai generica. Le differenti vie carismatiche infatti sono state donate dal Cielo lungo la storia perché ciascuno potesse percorrere la sua strada armonizzando la propria dimensione antropologica con quella vocazionale, in modo da poter giungere alla piena maturità, che è umana e spirituale insieme. 

Non diversamente dunque qui, ove il volto specifico di Gesù offerto alla nostra contemplazione e al quale siamo chiamati a conformarci è quello eucaristico. 

Da sempre la dottrina della chiesa afferma che nel SS. Sacramento Gesù è presente “sacrificato e glorioso”: l’eucaristia cioè è il memoriale della passione redentrice di Gesù, una passione che dà in inizio al grande mistero pasquale di morte e risurrezione di Cristo. Invitandoci allora a contemplare la Sua presenza reale nell’Eucaristia, Gesù ci chiama a partecipare con la nostra vita al Suo mistero di morte e di risurrezione. Per questo il Cuore e sovrastato da una Croce.

Esso però è anche circondato da una corona di spine: gli aculei sono certamente i peccati degli uomini, per i quali Gesù è morto. Madre Serafina però invita a fare un passaggio dal generico al personale: il sacrificio di Gesù è redenzione per tutti gli uomini di ogni tempo e luogo, ma c’è sempre il rischio di non prendere coscienza che ogni aculeo che trafigge il cuore di Gesù porta un nome proprio, ivi compreso il nostro. Madre Serafina lo sa bene ed è per questo che, in una delle Conferenze tenute alla sua Comunità di Adoratrici, ha esortato le sue figlie a dare molta importanza a come si inizia e a come si finisce la giornata[1]. Quelli che nella tradizione spirituale tradizionale vengono chiamati “buoni propositi a inizio giornata” ed “esame di coscienza a fine giornata” sono appuntamenti molto importanti anche dal punto di vista antropologico, perché permettono di non vivere la quotidianità in maniera superficiale, bensì con una sempre più profonda consapevolezza di sé. Il rischio che sempre si corre infatti è quello di accumulare conoscenze e competenze lungo tutto l’arco della vita, ma di vivere da stranieri rispetto a se stessi e al proprio mondo interiore, quindi con una falsa idea di sé. Ebbene, riservarsi dei tempi per pianificare le proprie giornate e per fare il bilancio permette di radicarsi nella realtà del proprio essere, con tutte le sue doti e capacità, con le potenzialità che attendono di essere sviluppate e messe in gioco, ma anche con tutti i limiti e le fragilità. Sono spesso questi ultimi a creare problema, perché minacciano l’autostima; l’introspezione nella forma dell’esame di coscienza invece salvaguarda dal ripiegamento scoraggiato su se stessi; percependosi amati e perdonati da Dio, sempre e comunque, si può ripartire ogni giorno con umiltà e fiducia. 

Al di sotto della corona di spine vi è una ferita aperta. Il riferimento è naturalmente al brano evangelico di Giovanni ove ai vv.33-34 del cap. 19 si legge: «Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe,  ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua». La lettura che Madre Serafina propone della ferita è duplice: 

  • da una parte quella classica della spiritualità cristiana, che da sempre ha visto nel sangue e nell’acqua i sacramenti della Chiesa, in modo particolare il Battesimo e l’Eucaristia. 
  • dall’altra la ferita aperta permette non solo l’uscita, ma anche l’ingresso! Essa è cioè la porta che introduce al cammino spirituale. Come dice la sposa del Cantico dei Cantici: «Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore» (2,4).

Sotto al cuore di Gesù Sono presenti sette colombe; il loro numero è fortemente simbolico e sta a indicare l’intera umanità[2].

Queste colombe vivono in un giardino indubbiamente bello, ricco di colori, fiori e delizie: è la bellezza del creato che Dio ha dato in dono all’uomo. A causa del peccato originale però – come viene ben descritto in Gen 3 – la relazione con la creazione si è fatta complessa: da custode di questi beni l’uomo ha cercato di farsene padrone, sperimentando il paradosso di trovarsene spesso schiavo, a motivo della sua bramosia. Queste sono le catene al collo delle colombe, che permettono di godere delle bellezze terrene, ma impediscono di spiccare il volo. Qui si apre il capitolo specifico dell’antropologia cristiana, cioè della visione dell’uomo a partire dal dato biblico[3]

Nel Nuovo Testamento il tema dell’immagine di Dio si lega a Cristo ed a Cristo risorto. È lui la vera immagine di Dio e noi: noi saremo pienamente immagini di Dio, quando parteciperemo alla sua resurrezione. I capitoli 1 e 2 di Genesi sulla creazione dell’uomo vengono così reinterpretati cristologicamente. L’uomo – e la superiorità dell’uomo rispetto a tutti gli altri esseri – sta nel fatto di essere pensato e predestinato sin dal primo momento nell’immagine di Gesù Cristo.

Scrive Durrwell: 

Poiché si tratta del Cristo glorificato (Paolo pensa sempre al Cristo nella gloria), è la gloria della risurrezione che proietta una viva luce sull’affermazione - apparentemente assurda - di un Cristo nato nel tempo e che è prima di ogni cosa, mediatore universale della creazione. Perché, nella sua resurrezione, Gesù viene collocato dal Padre nel luogo in cui hanno origine tutte le cose e il tempo che scorre: all’apice e all’origine, nell’eterna generazione. Il Figlio incarnato vive nell’oggi eterno della propria nascita, là dove comincia l’attività del Padre nel mondo[4].

Restare incatenati alla terra dunque permette di godere della bontà della creazione, ma limitatamente alle possibilità che la catena permette. Scegliere di rompere questa schiavitù offre la possibilità di volare liberi: gli spazi si ampliano, gli orizzonti diventano infiniti, si gode e si gusta della terra, ma ci si libra anche nel cielo. 

Optare per la libertà dipende solo ed esclusivamente dalla persona. La storia dell’uomo è infatti sempre storia di “offerta di grazia” ma anche storia di peccato, dato che l’uomo di fatto ha rifiutato questo dono. Si può parlare correttamente dell’uomo solo prendendo costantemente in esame questi due poli: il polo della “grazia” (offerta gratuita da parte di Dio) e quello del “peccato” (risposta effettiva dell’uomo), con la consapevolezza che  alla fine  la vittoria sarà della grazia, poiché la grazia è comunque più forte del peccato. La grazia sta all’inizio della storia dell’uomo ma sta anche alla fine: questo tema è trattato anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica ai numeri 374-379[5]. Attraverso la grazia santificante infatti Dio ci dona gratuitamente le forze spirituali per compiere questa scelta e per incamminarci su quel sentiero che ci porta alla pienezza della nostra maturità, ove dimensione umana e dimensione spirituale sono armonicamente unificate. Il libero arbitrio[6] però è ciò che di più prezioso ogni persona ha e che anche Dio mai vìola. Scegliere dunque la statura della nostra umanità significa scegliere come vivere: liberi di giungere alla pienezza antropologica sviluppando armonicamente le dimensioni fisica-psicologica-spirituale, ma anche liberi di non diventare psicologicamente e/o spiritualmente maturi. 

Il percorso proposto in questa prima tappa termina con ciò che Madre Serafina chiama “voto di stare alla presenza del Cuore Santissimo di Gesù”. Esso consiste nella scelta di coltivare la propria dimensione spirituale riconoscendo la continua presenza di Gesù nella propria esistenza e dunque di vivere costantemente in dialogo interiore con Lui. Frutti di questa unione sono la gioia e la pace; esse non scaturiscono dalla assenza di tribolazioni, ma dal conforto, dalla consolazione, dall’aiuto e dal coraggio che l’attenzione alla presenza viva di Gesù nel proprio cuore generano. 

 

 

 

 

 

 


[1] Modo di ben cominciare e ben terminare la giornata.

    La sposa adoratrice di Gesù deve far tutto per il suo Sposo: perciò abituatevi a indirizzare tutto a Lui. Fin dal mattino, quando vi alzate, offritevi pronte a far tutto quello che vorrà da voi in quel giorno, dicendoGli: “Oggi, Gesù mio, tutto quello che Tu vuoi, lo voglio anch’io; tutto quello che Tu desideri, lo desidero anch’io; tutto quello che piacerà a Te, piacerà anche a me. A Te consacro tutte le mie azioni, promettendoTi di eseguire tutto per puro amor Tuo e per la Tua gloria.” 

    Poi, rivolte ai vostri dieci Angeli, a ciascuno date un ufficio da esercitare per voi nel corso della giornata; per es. a uno date di adorare sempre Gesù Sacramentato per voi; a un altro di lodare sempre il Signore mentre voi vi occuperete nei vostri doveri; a un terzo di ringraziarLo sempre, e così via. Nel medesimo tempo date a ciascuno una virtù da esercitare per voi: a uno la povertà, a un altro la castità, a un terzo l’obbedienza, a un quarto l’umiltà, a un quinto la semplicità, a un sesto la conformità al divino volere ecc. 

    Alla sera poi, quando andate a letto, immaginatevi d’aver lì il vostro diletto Sposo e parlateGli in questo modo: “Caro Gesù, ecco trascorso un altro giorno. Quante grazie ho ricevuto anche oggi dalla Tua bontà! Ma come l’ho poi passato? Come vi ho corrisposto? Mi son trovata in diverse occasioni di poter fare dei sacrifici, ma come me ne sono approfittata? Alla santa adorazione, all’orazione, nella Comunione, in ricreazione, in refettorio, nei miei uffici, come mi sono comportata? Come ho trattato con i Superiori, con le Sorelle?” E in questo modo, a mano a mano, esaminate tutte le azioni del giorno e osservate bene specialmente come vi siete comportate nelle occasioni di far violenza a voi stesse, se siete state generose col vostro Gesù e se siete state accorte e industriose nell’occultare alle sorelle le vostre pene interne. Dopo ciò, se trovate d’aver mancato in qualche cosa, chiedetene di cuore perdono al vostro sposo Gesù, però sempre con pace e confidenza e, promettendoGli di far meglio il giorno seguente, diteGli: “Caro Gesù, mi dispiace di averti recato in questo giorno tanti disgusti, di non aver assecondati tutti i desideri del Tuo divin Cuore. Vedi, Diletto, questo è frutto del mio orto, questo è ciò che sono capace di fare io; non puoi aspettarti altro di meglio da me. Perdonami, o caro; domani, assistita dalla Tua grazia, voglio proprio compiacerti in tutto”. (Conferenza n° 1)

[2] Basti pensare a Mt 18,21ss in cui l’invito di Gesù a perdonare il fratello non 7 volte ma 70 volte 7 sta a indicare “sempre”.

[3] Interessante è approfondire questo tema alla luce del magistero di Papa Francesco (Cfr. Enciclica “Laudato sii”, ecc.)

[4] F. X. Durrwell, Il Padre, Roma, Città Nuova, 1995, pag. 104.

[5] Dal Catechismo della Chiesa Cattolica n° 374-379: “Il primo uomo non solo è stato creato buono, ma è stato anche costituito in una tale amicizia con il suo Creatore e in una tale armonia con se stesso e con la creazione, che saranno superate soltanto dalla gloria della nuova creazione in Cristo. La Chiesa, interpretando autenticamente il simbolismo del linguaggio biblico alla luce del Nuovo Testamento e della Tradizione, insegna che i nostri progenitori Adamo ed Eva sono stati costituiti in uno stato di santità e di giustizia originali.  La grazia della santità originale era una partecipazione alla vita divina. Tutte le dimensioni della vita dell'uomo erano potenziate dall'irradiamento di questa grazia. Finché fosse rimasto nell'intimità divina, l'uomo non avrebbe dovuto né morire, né soffrire.  L'armonia interiore della persona umana, l'armonia tra l'uomo e la donna, infine l'armonia tra la prima coppia e tutta la creazione costituiva la condizione detta «giustizia originale». Il «dominio» del mondo che Dio, fin dagli inizi, aveva concesso all'uomo, si realizzava innanzi tutto nell'uomo stesso come padronanza di sé. L'uomo era integro e ordinato in tutto il suo essere, perché libero dalla triplice concupiscenza  che lo rende schiavo dei piaceri dei sensi, della cupidigia dei beni terreni e dell'affermazione di sé contro gli imperativi della ragione. Il segno della familiarità dell'uomo con Dio è il fatto che Dio lo colloca nel giardino, dove egli vive «per coltivarlo e custodirlo» (Gn 2,15): il lavoro non è una fatica penosa, ma la collaborazione dell'uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile. Per il peccato dei nostri progenitori andrà perduta tutta l'armonia della giustizia originale che Dio, nel suo disegno, aveva previsto per l'uomo”. 

[6] Dal Catechismo della Chiesa Cattolica n°1730:  “Dio ha creato l'uomo ragionevole conferendogli la dignità di una persona dotata dell'iniziativa e della padronanza dei suoi atti. Dio volle, infatti, lasciare l'uomo «in mano al suo consiglio» (Sir 15,14) così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, con l'adesione a lui, alla piena e beata perfezione: [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 17]. L'uomo è dotato di ragione, e in questo è simile a Dio, creato libero nel suo arbitrio e potere” [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 4, 3].

 

Il cammino dei cuori 1
Formazione in adorazione eucaristica
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