Quello che ora proponiamo è una sorta di schema di ciò che è il cammino dell’essere umano.

 

La persona è concepita come un essere vivente, unico e irripetibile, che ha avuto un suo preciso inizio non casuale, diretto verso una specifica mèta, a cui è stata donata una vita senza fine.

Sottostante questo schema c’è l’antropologia teologica; dunque un percorso di vita così come è concepito nella Chiesa Cattolica. Gli strumenti forniti sono tipici della tradizione latina: ciò significa che non sono gli unici possibili (basti pensare alla ricca tradizione cattolica di rito orientale o alle Chiese Ortodosse; diverso il discorso delle comunità cristiane nate dalla Riforma o alla comunione anglicana), ma sono certo quelli a noi immediatamente più familiari.

 

Lo schema, pur articolato, è in realtà assolutamente essenziale; ciò significa che a essere proposte sono soltanto le grandi linee, ognuna delle quali prevederebbe molteplici diramazioni, specificazioni, approfondimenti, ecc. Facendo un paragone, è come se gettassimo le fondamenta e individuassimo i muri portanti di una costruzione, nella consapevolezza che l’edificio prevede poi pavimenti, soffitti, pareti divisorie, tetto, arredamento, suppellettili, ecc.

 

Uno schema più che essenziale potrebbe essere questo:


CONOSCENZA DI DIO E DELL'UOMO -> VITA SPIRITUALE -> UNITA' con Dio e con i fratelli

 

 

Cerchiamo ora di dare un contenuto a questi 4 termini.

 

La vita umana, nella prospettiva cristiana, è concepita come proveniente da Dio; ogni persona viene creata da Dio, entra nel tempo e nello spazio per opera della generazione psico-biologica di un uomo e di una donna, percorre un proprio cammino al ritmo della libertà personale, per giungere a una meta precisa, cioè l’incontro con Dio Trinità.

I 2 soggetti in questione sono perciò Dio e l’uomo; per questo li abbiamo posti a fondamento dello schema: da una parte “conoscenza di Dio”, dall’altra “conoscenza dell’uomo”. In alto la meta, l’incontro tra Dio e l’uomo; nella prospettiva cristiana Dio è amore, per amore ha creato l’uomo il quale, percependosi amato, risponde all’Amore con l’amore: l’incontro finale tra Dio e l’uomo è dunque un incontro d’amore, per questo di unità (non un io contrapposto a un tu, ma un noi generato dalla pienezza dell’io e del tu).

Nel mezzo il pellegrinaggio dell’uomo, che abbiamo detto essere ritmato dalla libertà; che Dio ami l’uomo è un fatto; l’uomo, perché libero, può accogliere questo amore e vivere la sua vita in relazione a Dio, nell’amore, oppure può rifiutare questo amore e vivere come se Dio non ci fosse (l’autonomia in realtà è impossibile perché la sussistenza stessa della vita è sempre garantita da Dio, a meno che non si metta in discussione l’esistenza di un Dio personale e si faccia derivare ogni cosa da un non meglio identificabile “caos”).

Se la persona vive in relazione amorosa con Dio, allora conduce una “vita spirituale”, che significa una vita nello Spirito Santo.

 

La questione dell’esistenza umana, delle domande fondamentali (da dove vengo, dove vado, che senso ha la mia vita, come posso dare senso alla mia vita), è complessa, perciò possiamo cercare di capire, ma non esageratamente semplificare, altrimenti cadremmo nel semplicistico, che non corrisponde più alla realtà: tradiremmo noi stessi.

 

Il cammino che per anni tutti noi abbiamo percorso ha focalizzato la sua attenzione principalmente sulla conoscenza di Dio basata sulla Sacra Scrittura, tenendo presente quella Parola di Gesù che dice: “A chi mi ama mi manifesterò”. Dunque non tanto una conoscenza teorica della Bibbia, quanto un tentativo di vivere il Vangelo dentro le circostanze della vita quotidiana. Riguardo alla teologia, non abbiamo mai affrontato direttamente la materia, ma conosciamo qualcosa del Catechismo, che della teologia è un compendio. Il vivere la Parola di Dio ci ha fatto conoscere anche qualcosa di noi stessi, ci ha resi un po’ più riflessivi.

 

Gli incontri del primo semestre 2012 erano strutturati in maniera inusuale. Al di là del metodo -uno dei tanti possibili-, essi avevano come finalità quella di aiutarci a renderci consapevoli che in realtà noi siamo un iceberg, di cui in generale conosciamo qualcosa della parte emergente, mentre ignoriamo la parte sott’acqua, che non solo è presente, ma che pure ci determina.

Più volte, durante gli incontri, abbiamo ripetuto che il nostro era un cammino verso la consapevolezza, verso l’evangelizzazione dell’inconscio.

 

Come sintesi di quei 5 incontri abbiamo proposto la finestra di Johari:

 

 

 

 

AREA PUBBLICA

 

 

AREA NASCOSTA

 

 

AREA CIECA

 

 

AREA INCONSCIA

 

 

Area pubblica: ciò che di me vedo io e vedono gli altri

Area nascosta: ciò che di me vedo solo io

Area cieca: ciò che di me vedono solo gli altri

Area inconscia: ciò che di me non vedo io e non vedono gli altri

 

Tutti noi abbiamo queste aree, ognuno secondo dimensioni assolutamente personali, dovute all’intreccio di storia biologica, psicologica, sociale, ma anche di libere scelte.

Il cammino verso una sempre maggiore consapevolezza si propone un ampliamento progressivo dell’area pubblica, da cui trarremo noi per primi beneficio, ma anche gli altri che ci vivono accanto, nonché le relazioni interpersonali. Sempre rimarranno presenti però tutte e quattro le aree, perché ciascuna ha comunque un suo ruolo importante da svolgere: ciò che le rende positive, cioè al servizio della persona, è la nostra consapevolezza e l’utilizzo di esse che scegliamo di fare.

Graficamente, la finestra potrebbe diventare così:

 

 

 

 

AREA PUBBLICA

 

 

AREA NASCOSTA

 

AREA CIECA

 

AREA INCONSCIA

 

 

Un esempio di evangelizzazione dell’inconscio ottimamente riuscito è quello di sr X, affetta da coprofilia.

Da giovane, sceglie di studiare per diventare infermiera. Siamo negli anni Trenta del XX secolo. Durante il tirocinio ospedaliero, mentre si trova a dover pulire gli ammalati, scopre di provare un profondo piacere nel vedere e soprattutto nel toccare le feci. Questo fatto la turba ma, provandone vergogna, non osa parlarne con alcuno. Sceglie per sé poi, come stato di vita, quello religioso. Spera, terminata la formazione, di essere destinata a una qualunque mansione in convento, eccezion fatta l’infermeria. Scoppia però la seconda guerra mondiale, i feriti sono innumerevoli e le suore, come sempre in queste circostanze, sono in prima fila nella carità. Essendo lei infermiera competente, viene immediatamente destinata al servizio ospedaliero. I feriti sono allettati, quindi necessitano, nella maggior parte, di operazioni di igiene quotidiana; l’immobilità inoltre provoca la frequente complicazione della occlusione intestinale o, comunque, della maggior fatica ad evacuare dall’intestino. Queste operazioni provocano molta reazione nella maggior parte delle altre infermiere, cosicché sr X si trova a dover prestare quasi esclusivamente lei questo servizio. Ai malati non mostra alcuna faccia disgustata, ma la continua esposizione a questa stimolazione non solo fa ripresentare il suo disturbo, ma lo accentua potentemente, al punto che sr X arriva all’orgasmo durante questi servizi. Ciò le genera turbamento profondo, nonché disagio nel mascherare il forte piacere che prova. Arriva a non riuscire più a contenere tutto questo e decide di parlarne con la sua Superiora, chiedendo umilmente di essere destinata ad altro ufficio. La Superiora la ascolta con assoluto rispetto, comprende il problema e le risponde: “Sorella, faccia di questo suo limite una palestra di santificazione” (ovviamente ai tempi non c’erano le possibilità terapeutiche di oggi!). La rimanda in corsia, ma la fa affiancare, nella vita, da un saggio direttore spirituale. Sr X obbedisce, ritorna dai suoi ammalati, ricomincia a prestare i suoi servizi svolgendoli come un atto di amore a ogni singola persona, non badando più alle proprie emozioni che pur continua a percepire. Questo fino a tarda età. Al suo funerale una interminabile fila di persone ha testimoniato la sua gentilezza e la sua discrezione nel prestare servizi che quasi tutte le altre infermiere rifiutavano perché ripugnanti. Eccezion fatta della sua Superiora e del suo direttore spirituale (area nascosta), nessuno sapeva che sr X soffriva di coprolalia (area inconscia), ma in molti (area pubblica) hanno beneficiato del suo cammino di evangelizzazione della profondità di sé.