IL CAMMINO NELLA NOTTE

PREMESSA:

 

Prima di addentrarci nella conoscenza delle “Notti” così come S. Giovanni della Croce le presenta nelle sue opere, è opportuno fare una presentazione della tradizionale suddivisione del cammino spirituale, schema caro anche al grande mistico e dottore spagnolo.

La prima tappa è dedicata ai principianti, che sono quelli che muovono i primi passi nella dimensione dello spirito.

La prima realtà con cui dovranno fare i conti non riguarda tanto i difetti e le colpe più gravi (giacché si suppone che chi abbia scelto di inoltrarsi su di una via spirituale abbia già scelto di allontanarsi dal peccato mortale….), bensì con tutta quella serie di piccole distrazioni dal cammino che tendono a passare inosservate perché abituali. Esse in sé non sono gravi, ma fanno in modo che la persona non solo non progredisca, bensì regredisca nel cammino, perché perde progressivamente interesse per l’obiettivo che invece ha scelto iniziando il cammino: l’unione con Dio. Al contrario, l’attenzione a queste apparenti minuzie introduce in quella che Giovanni della Croce chiama notte oscura, tempo di purificazione, “conditio sine qua non” per poter poi gustare la luce di Dio.

Esempi di queste distrazioni possono essere il troppo parlare, l’attaccamento non equilibrato a cose e persone, l’eccessiva attenzione riservata al vestire, al cibo, ecc.

La seconda tappa è dedicata ai proficienti. E’ una fase intermedia, ove prosegue il lavoro iniziale. La persona non è esente dallo sforzo personale e inizia a percepire un certo qual affaticamento e poca fruttuosità in relazione alla meditazione discorsiva, all’essere legata a particolari pratiche, al rincorrere sensazioni piacevoli, ecc. Il suo pensiero, l’immaginazione e il suo desiderio vanno facendosi sempre più sobri; anela piuttosto a una fede semplice, intesa come slancio fiducioso il cui colore è quello dell’abbandono e dell’affidamento, in un clima di solitudine, di attenzione amorosa, di quiete e di riposo in Dio.

Terza tappa è quella dei perfetti, in cui l’anima è consapevole di essere in uno stato di “buio assoluto”, cioè in una dimensione che ormai è oltre se stessa. E’ la dimensione dello spirito e la persona percepisce di trovarsi in una situazione di feconda passività: la Trinità inibita il suo cuore riempiendolo di amore infuso, ma questo è reso possibile dal continuo assenso che ella è chiamata a dare.

 

 

 LA NOTTE ATTIVA:

 

Introduzione:

 

Giovanni della Croce tratta dell’argomento delle purificazioni che la persona deve affrontare per poter essere pronta ad accogliere il dono dell’unione con Dio  nei suoi scritti “Salita al Monte Carmelo”, “Notte oscura” e “Fiamma d’amor viva”.

Proprio nella “Salita” egli così afferma:

 

“E’ necessario sapere che, per giungere allo stato di perfezione, l’anima generalmente deve prima passare attraverso due aspetti principali di tenebre che gli spirituali chiamano purgazione, io invece notte perché l’anima, nell’una e nell’altra, cammina al buio come di notte” (S, 1,1,1)

 

La notte coinvolge dapprima le facoltà sensibili della persona, poi quelle spirituali; vi è in un primo tempo una notte attiva, in cui la persona sceglie liberamente e volontariamente la rinuncia, e poi una notte passiva, in cui a operare è Dio e  la persona può solo dare il suo libero assenso a che Egli porti a compimento l’opera iniziata.

 

La prima rinuncia che la persona sceglie di abbracciare è quella affettiva; la mancanza di beni temporali da sola infatti non è in alcun modo garanzia di libertà interiore; è piuttosto al desiderio di essi che è necessario prestare attenzione. Un disordinato attaccamento a essi incatena l’anima e impedisce allo spirito di aprirsi a Dio. I beni sono indispensabili per la vita su questa terra, ma è importante maturare quel distacco che ci fa guardare a essi come a dei mezzi che ci vengono offerti in ultima analisi dalla Divina Provvidenza per raggiungere l’obiettivo, il fine per cui siamo stati creati: l’unione con Dio. Se il nostro rapporto con essi esce da questo sentiero, non può che inoltrarsi verso quello dell’idolatria: invece che la Trinità, fine del nostro vivere diviene l’accumulo dei beni, nella illusione di possederli… mentre, alla fine, sono essi a possederci e a schiavizzarci. 

Per questo è importante scegliere di incamminarsi volontariamente sul sentiero della rinuncia, per educare il nostro cuore trovare la soddisfazione adeguata ai suoi bisogni. Questo vale in relazione agli oggetti, ma anche alle persone. Siamo infatti creati a immagine della Trinità, chiamati a divenire Sua somiglianza attraverso le relazioni interpersonali, ma là dove ci cerchiamo reciprocamente solo per gratificare il nostro bisogno di affetto o il nostro narcisismo, allora non siamo più gli uni per gli altri aiuto nel cammino verso l’unione con Dio e tra noi in Dio, ma zavorra o addirittura ostacolo. 

Giovanni della Croce utilizza un linguaggio piuttosto ruvido per la nostra sensibilità, tuttavia quando sostiene che è necessario staccarsi affettivamente dalle creature per purificare il cuore da quell’amore che impedisce di amare Dio secondo la totalità che viene espressa nel 1° comandamento intende riferirsi a quell’amore imperfetto, disordinato, che attrae il cuore della persona verso le cose create senza guardarle nel loro giusto valore di bene. Obiettivo per lui è creare un ordine profondo nelle tendenze affettive dell’uomo orientandole verso la Trinità, che è la fonte dell’amore e di ogni bene, il modello di ogni relazione e la sorgente della comunione, la misura della più autentica libertà. 

Ciò a cui si sceglie liberamente di rinunciare perciò è quella gratificazione del bisogno che è al di sotto del livello proprio dell’uomo, affinché si possa camminare verso la maturità e la pienezza dell’umano.

 

La purificazione della sfera del sensibile:

 

Giovanni della Croce la chiama “notte attiva del senso” per portare l’attenzione sul lavoro e l’impegno della persona che sono indispensabili in questa tappa del cammino.

Ci si muove qui nella sfera del sensibile, cioè nel regno dei nostri sensi esterni e interni (l’immaginazione, la fantasia, il ricordo ecc.) che mettono a contatto con le realtà sensibili del mondo, nei diversi modi e nelle varie forme che cadono sotto le nostre facoltà. Essi hanno la capacità di attirarla con potenza, alimentando un continuo e insaziabile desiderio di esse. L’appagamento di tale desiderio è indubbiamente fonte di immediato piacere e di gratificazione, elementi che vanno a potenziare ulteriormente la forza attrattiva che i sensi hanno sulla persona.

La questione è perciò di gestire queste energie, dirigendole e disponendole armoniosamente per la formazione e lo sviluppo dell’uomo obbediente alle mozioni dello Spirito Santo. 

Usando un linguaggio più psicologico, potremmo dire che attraverso i sensi percepiamo delle emozioni, che vanno a far leva sui bisogni; la via della rinuncia è quella che educa la persona a scegliere se e come rispondere ai bisogni, facendo riferimento ai valori.

L’affetto alla creatura è ostacolo all’amore e all’unione con Dio quando questa viene amata per se stessa, come un bene in sé, senza relazione a Dio. In questo caso diviene evidente l’opposizione perché l’amore che unisce a Dio deve dire necessariamente relazione a Lui, fonte di ogni bene. L’amore a una creatura, per quanto sublime e intenso possa essere, se prescinde da Dio, gli si oppone come amore disordinato e non porta la persona a pienezza.

Giovanni della Croce è molto radicale e arriva ad affermare che basta un solo affetto disordinato, esistente come disposizione abituale, a impedire il raggiungimento della perfetta unione con Dio; anche questa è una affermazione alquanto ruvida per noi, se ci fermiamo alla lettera. In realtà potremmo riformularla in questo modo: se ci percepiamo veramente amati dalla Trinità, allora il nostro desiderio più profondo non può essere che quello di rispondere a tanto amore amando a nostra volta. Nell’amore mal si tollerano divergenze e/o lontananze, quindi è intrinseco al dinamismo dell’amore uniformare le volontà. E’ bisogno della persona quindi aprirsi sempre più intimamente all’amore facendo propria la volontà dell’Amato e preferendo la fatica della conformazione volontaria a Lui piuttosto che la gratificazione di impulsi che oscurano la percezione di Lui nel centro dell’anima; questo non come costrizione, ma come esigenza dell’amore, sebbene la rinuncia sia scelta volontaria che, in questa fase del cammino, chieda fatica e sforzo. Naturalmente la persona non è lasciata sola in questa salita: la grazia di Dio è forza e sostegno, che coadiuvano la persona, ma senza sostituirsi a essa: in maniera positiva, la fatica e lo sforzo sono garanzia per la libertà della persona, chiamata a scegliere liberamente e volontariamente, a ogni istante, la meta del suo cammino.

 

La purificazione delle facoltà spirituali:

 

Con “facoltà spirituali” si intendono l’intelletto, la memoria e la volontà. Esse vengono purificate mediante il crescente esercizio delle virtù teologali (fede, speranza e carità). Infuse nella persona, esse la aprono a Dio. La crescita di esse è responsabilità e impegno dell’uomo; per questo Giovanni della Croce chiama il percorso di purificazione che coinvolge questa dimensione della persona “notte attiva dello spirito”.

 

a. Purificazione concernente la fede:

La fede è l’unica conoscenza soprannaturale data alla persona perché possa realizzarsi l’unione con Dio. Tutte le altre conoscenze sia naturali sia legate a carismi speciali (visioni, locuzioni, rivelazioni, ecc.) non sono mezzi sufficienti. Gli ostacoli al cammino vanno perciò cercati nel modo in cui la persona vive la sua relazione con Dio. Uno strumento conoscitivo essenziale in questa fase del cammino è la preghiera mentale. Secondo la struttura della nostra anima e delle nostre facoltà conoscitive, per stabilire e sviluppare  il nostro rapporto con Dio abbiamo bisogno di far ricorso alle nostre idee, ai nostri concetti, ai nostri ragionamenti e anche alle nostre immagini. A un certo punto però tutto questo può farsi ostacolo se ci aggrappiamo a questa struttura in maniera eccessiva: la Trinità infatti è eccedente rispetto alla nostra anima, quindi a un certo punto dobbiamo abbandonare tutti questi supporti e fare il passo della fede pura, che è conoscenza oscura di Dio.

 

Scrive Giovanni della Croce:

“I teologi affermano che la fede è un abito certo e oscuro. E’ oscuro perché propone a credere verità, rivelate da Dio stesso, al di sopra di ogni lume naturale, le quali sorpassano smisuratamente le possibilità di ogni umano intelletto. Da ciò deriva che questa soverchia luce della fede diviene per l’anima tenebra oscura, poiché il più elimina il meno, come la luce del sole annienta quella di ogni altra fonte luminosa” (S,2,3,1)

 

La persona è chiamata, in questa fase del cammino, a purificarsi dalla moltitudine dei pensieri, dei concetti e dei ragionamenti, abbandonandosi a uno sguardo semplice e tranquillo. Si sperimenta l’aridità, ma la fede cresce proprio restando in questa nuda oscurità.

Anche riguardo ai carismi speciali citati all’inizio, la sopravvalutazione di questi fenomeni genera errori perniciosi e rischia di far scivolare verso le illusioni e le autosuggestioni. Nessun carisma straordinario fornisce ulteriori elementi alla conoscenza nella fede: se autentici, essi sono una sottolineatura particolare di alcuni aspetti della Rivelazione, ma alla Rivelazione non aggiungono alcunché (la Rivelazione si è infatti chiusa con la morte dell’ultimo degli apostoli, Giovanni).

Dunque è la fede che purifica l’intelletto e lo fa camminare verso l’unione con Dio.

 

b. Purificazione concernente la speranza:

La memoria è la facoltà che ci permette di tessere la tela della nostra vita e di essere noi gli artefici di tale tela; essa è la coscienza permanente di vivere, di permanere in noi stessi, di poterci confrontare con gli altri, di poter progettare la nostra vita.

La speranza teologale è il possesso di Dio…nell’attesa, avendo come certezza la Sua promessa e la Sua Parola.

La purificazione nel campo della speranza riguarda soprattutto l’eliminazione dalla memoria di tutto ciò che non è in sintonia con Dio, ma anche di tutte quelle false motivazioni che possono sostenere la nostra speranza, ma che non hanno molto a che vedere con la Sua promessa e la Sua Parola.

I beni che si pongono in concorrenza con il Sommo Bene sono quelli creati e che solleticano i nostri sensi esterni e/o interni; lo sono però anche tutti quegli elementi apparentemente spirituali, quali le varie conoscenze religiose, le emozioni e le esperienze, i molteplici carismi con i quali il divino può raggiungere la persona. Essi possono essere stati uno stimolo iniziale, uno strumento per risvegliarci, ma poi vanno lasciati, se si vuole percorrere un vero cammino spirituale.

Perché la Trinità possa donarsi alla persona è necessario che in essa ci sia una capacità di accoglienza, dunque uno spazio vuoto. Per questo le immagini e i ricordi accumulati nella memoria non servono, anzi, da un certo punto del cammino in poi sono un ostacolo. Le riflessioni, le analisi, le elucubrazioni sui doni ricevuti e sui carismi speciali - accertata ovviamente la loro effettiva veridicità - finiscono infatti per impedire il silenzio interiore, lo spogliamento e il distacco da sé….Dunque Dio non trova spazio per manifestarsi, inabissare e operare…

 

c. Purificazione concernente la carità:

L’oggetto proprio che costituisce il fine che la volontà ama e vuole conseguire è ciò che le si presenta come bene.

La gioia nasce dal possesso del bene amato.

La purificazione della volontà con rapporto alla gioia è una purificazione in ordine ai beni dei quali l’anima è portata a gioire. Obiettivo di questa purificazione è che la persona gioisca sempre e solo di ciò che dà onore e gloria alla Trinità; per questo sceglie di spogliarsi volontariamente di tutti quei beni (temporali, naturali, sensibili, morali, soprannaturali, spirituali) che riconosce non essere fonte di quella autentica gioia. 

Più si progredisce nel cammino spirituale più si corre il rischio di scivolare in modo subdolo nell’orgoglio, nella vanagloria, nella presunzione, nella superbia. Per questo è saggio e prudente scegliere volontariamente la purificazione attiva in relazione alla carità, per educarsi ad amare la Trinità e non i doni che i Tre ci elargiscono… Attaccare il cuore ai doni significa infatti porsi nella condizione di legare le mani a Dio, il quale trova la persona concentrata su altro che non è Lui, dunque non in relazione a Lui… Ciò che rende il dono fonte di gioia è infatti la relazione con il donatore, non il dono in sé…

 

 

LA NOTTE PASSIVA:

 

La notte attiva dell’anima non solo purifica, ma predispone la persona a ad accogliere un particolare intervento di Dio che oltrepassa l’anima stessa e le sue capacità. Essa scende più in profondità nella persona, proprio nel suo spirito, là dove si consuma la relazione tra lei e la Trinità. La notte passiva è lo strumento che Dio utilizza per far passare la persona dallo stadio meditativo dell’orazione alla preghiera contemplativa. Essa si compie sia nelle facoltà sensitive sia nelle facoltà spirituali.

 

Purificazione nelle facoltà sensitive:

 

Nella meditazione l’anima si intrattiene con Dio riflettendo e “discorrendo” con la sua mente sul mistero di Dio, sulle sue perfezioni, sulle sue opere, ecc.; è costantemente tesa alla ricerca di una conoscenza più profonda di Lui, cerca contenuti sempre più ricchi. 

In questa fase della preghiera le facoltà sensitive sono indispensabili.

La relazione con Dio è facile, spontanea, ricca di consolazioni; si percepisce Dio vicino e il suo amore ha tratti fortemente materni.

Quando meno se lo aspetta, la persona può ritrovarsi, senza preavviso e in un istante, in una situazione interiore caratterizzata dalla aridità, dall’impossibilità di meditare, da un certo qual disgusto - se non addirittura ripugnanza - per la preghiera.

Tale cambiamento di scena non è motivato da peccati commessi o da scivolamenti in imperfezioni, nemmeno è motivato da fiacchezza, tiepidezza o accidia..

Semplicemente Dio ha fatto irruzione nello spirito della persona e ha cominciato a comunicarsi a lei non più per mezzo dei sensi - come in precedenza -, ma dandosi a lei attraverso un atto di contemplazione semplice. Dio sta conducendo la persona verso una forma di preghiera più elevata, non prodotta attivamente dall’anima, ma comunicata direttamente da Lui; per questo motivo viene chiamata contemplazione infusa. E’ una purificazione perché vengono tolte le imperfezioni della preghiera meditativa, legate proprio all’utilizzo delle facoltà dell’anima.

E’ importante che la persona resti nella quiete, sostenendo pazientemente l’aridità e l’impossibilità di meditare, abbandonandosi alla azione di Dio, anche se non Sto arrivando! rendersene conto.

 

Purificazione delle facoltà spirituali:

 

Non seguono immediatamente quelle precedenti; nell’intervallo di tempo che intercorre tra le due, la persona progredisce spiritualmente, grazie anche alla ceretta gestione della sfera sensibile..

Quando la Trinità irrompe nuovamente per questa ultima purificazione ha per obiettivo il rendere la persona capace di accogliere le più alte comunicazioni di Dio, introducendola nella stessa vita divina.

Le sofferenze di questa purificazione sono altissime e sono legate a molteplici fattori:

  1. l’unione di due estremi: il divino e l’umano
  2. la persona si sente abbandonata da Dio
  3. il contrasto tra la grandezza e maestà della contemplazione infusa e il sentimento di estrema e intima miseria che la persona percepisce dentro di sé riguardo a se stessa
  4. la persona è come se non riuscisse a vedere altro che le proprie colpe, la propria tendenza al male, la sua indegnità di fronte alla santità di Dio
  5. l’impossibilità di pregare: è come se si percepisse un muro eretto da Dio per bloccare la comunicazione 
  6. l’impossibilità di trovare aiuto in dottrine o maestri spirituali: alla persona sembra che le parole che le vengono rivolte siano dette perché in realtà gli altri non conoscono la sua situazione di male e di miseria.

 

CONCLUSIONE:

 

Cosa attende la persona, al termine della notte? Lasciamo la parola a Giovanni della Croce:

 

O fiamma d’amor viva,

che amorosamente ferisci

della mia anima il più profondo centro! 

Poiché non sei più schiva,

se vuoi, ormai finisci;

squarcia il velo di questo dolce incontro!

 

O cauterio soave!

O deliziosa piaga!

O tenera mano! O tocco delicato, 

che sa di vita eterna

e ogni debito paga!

Uccidendo, morte in vita hai mutato.

 

O lampade di fuoco,

nel cui splendore

le profonde caverne del senso,

che era oscuro e cieco,

con mirabil valore

al lor Diletto dan luce e calore!

 

Quanto dolce e amoroso

ti risvegli nel mio seno,

dove segretamente solo tu dimori! 

Nel tuo spirar gustoso,

di bene e gloria pieno,

come delicatamente m’innamori!

 

(Fiamma viva d’amore B)