Parlando delle emozioni, avevamo detto che esse erano una “spinta all’azione”; avevamo poi definito i bisogno come “tendenze innate all’azione”. In entrambi i casi avevamo ripetutamente sottolineato come essi non ci determinano nell’azione, quindi come il provare emozioni o l’avere determinati bisogni non è fatto su cui si possa esprimere un giudizio morale. E’ semplicemente un dato del reale.
Cosa allora è oggetto di valutazione morale?
L’AZIONE!
Prima di inoltrarci in questo campo prettamente teologico, è opportuno definire alcuni concetti-chiave che ci aiutano a meglio orientarci in questo terreno che, se da un lato è assolutamente complementare a quello antropologico nel quale ci siamo fino a ora mossi, dall’altro ha comunque un linguaggio suo proprio che è diverso dal precedente.

Il primo tema che avevamo affrontato nel cammino antropologico è stato quello dei valori.
Questo richiamo ci serve per definire il concetto di etica.
ETICA = COMPORTAMENTO UMANO IN RELAZIONE  AI VALORI E AI PRINCIPI.
L’etica può essere:
descrittiva: prende cioè in esame i comportamenti umani in relazione ai principi e ai valori di una determinata popolazione
normativa: esamina i valori, i principi, le norme di comportamento in relazione a ciò che è lecito o non è lecito, in relazione a ciò che è bene e  a ciò che è male.
    A sua volta può perciò essere divisa in due sotto-
    sezioni:
    * generale, quando si occupa della fondazione e della giustificazione delle norme
    * speciale, quando si applica a singoli specifici campi (bioetica, sessualità, ecc)

L’etica può essere anche:
soggettiva, quando è in riferimento a norme e valori che mutano con la persona e con il tempo (ad es. usi e costumi di una certa popolazione in un dato periodo storico)
oggettiva, quando si riferisce a valori e norme indipendenti dalla persona e dal tempo (la vita, il lavoro, l’amore, l’amicizia, ecc)

L’aver parlato di etica soggettiva e di etica oggettiva propone però una questione fondamentale: esiste una legge naturale che tutti gli uomini di tutti i luoghi e di tutti i tempi possano riconoscere come propria ed essere quindi norma fondante di ogni agire morale?
Questa legge naturale esiste!
Ogni uomo, con l’uso della sola ragione può permettere alla legge naturale di manifestarsi alla coscienza, cosicché la legge naturale diventa oggettiva per il soggetto.
Restando nel perimetro della legge naturale, il principio dell’agire morale è:
FARE IL BENE ED EVITARE IL MALE.
Il bene è fatto oggettivo.
La scelta di fare il bene  è fatto soggettivo.
Da qui l’affermazione che l’essere umano, per natura, è un essere morale, la cui ragione è pratica e morale (morale perché in grado di distinguere tra bene e male, pratica perché in grado di scegliere di fare il bene e di evitare il male).

Tutto questo ci porta sulla soglia di un’altra disciplina teologica di fondamentale importanza e straordinaria bellezza, che è l’antropologia teologica.
Avremo certamente modo, in futuro, di riprendere l’argomento e di approfondirlo come conviene. Qui facciamo solo un accenno che serve per meglio comprendere le questioni morali ed etiche che ci stiamo affrontando.
Per noi cristiani, dove risiede il fondamento ultimo della legge naturale?
Certamente nell’essere fatto, l’uomo, a immagine e somiglianza di Dio: l’immagine come dato di creazione, la somiglianza come cammino affidato alla libertà della persona (quella che i teologi d’Oriente hanno chiamato “divinizzazione”). Io, per natura creato a immagine di Dio, liberamente scelgo di intraprendere un cammino che mi porti a essere autenticamente somigliante a Dio.
Come faccio però a conoscere chi è Dio?
Esattamente qui sta la peculiarità della religione giudaico-cristiana: indubbiamente l’uomo ha da sempre cercato Dio e i suoi sensi spirituali hanno colto alcune sue proprietà (e questo è ciò che definisce l’autentica esperienza religiosa di molte tradizioni), ma Dio si è rivelato, Dio ha scelto di mostrare il suo volto! La Bibbia altro non è che il racconto di come Dio si è rivelato al popolo che, gratuitamente, Egli si è scelto. L’AT è storia di Rivelazione. Israele ha conosciuto Dio perché a lui Dio ha rivelato la sua identità. “Nella pienezza dei tempi” però Dio ha fatto un ulteriore passo di rivelazione: ha mostrato la sua identità di Trinità, cioè di essere un Dio UNO nella sostanza, ma costituito di tre Persone, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Ancora, “Padre”-”Figlio”-”Spirito Santo” non dicono la natura, ma la relazione esistente tra i Tre. Nella Persona del Figlio Dio ha scelto di incarnarsi, di diventare uomo. Egli solo è “vero uomo e vero Dio”: il Padre e lo Spirito Santo sono solo “vero Dio”. E’ stato il Figlio a rivelarci la piena identità di Dio che è Trinità: non un’altra cosa rispetto alla rivelazione a Israele, ma la pienezza di quanto già rivelato a Israele (per questo è assolutamente impossibile affermare l’identità cristiana fuori dalla relazione con Israele: è il popolo eletto di Israele la nostra Santa Radice”, l’ulivo buono su cui noi, olivo selvatico, siamo continuamente innestati, come dice S. Paolo nel cap.11 della sua Lettera ai Romani).
Cosa significa però affermare che il Figlio è vero uomo e vero Dio?
Come Gesù stesso ha detto a Filippo, significa dire che conoscere Lui, Gesù, è conoscere il padre. Noi, conoscendo Gesù, conosciamo la pienezza dell’identità divina. Gesù però è anche vero uomo, uomo però perfetto: Gesù è l’autentico Adamo. Questo significa che in Gesù la somiglianza con Dio è compiuta.
Quale allora il disegno del Padre?
Che ogni uomo compia quel cammino di divinizzazione che lo porti a essere somiglianza di Lui, esattamente come Gesù lo è. Gesù perciò modello per ogni uomo, chiamato a diventare “cristiforme”, ad avere cioè la stessa “forma” di Cristo.
Rientrando nell’alveo della morale, GESU’ CRISTO E’ LA NORMA!
La moralità perciò, cioè la conformità alla norma, è la conformità a Gesù Cristo.
Da qui la domanda:
quando una azione è morale?
Una azione è morale quanto è conforme alla dignità dell’essere umano, quando cioè è di ausilio alla cristificazione della persona.

A proposito di azione però è opportuno introdurre un altro distinguo:
azioni dell’uomo, di cui la persona non ha responsabilità perché viene realizzata o inavvertitamente o per necessità coatta. In altre parole, manca la volontà.
azioni umane, delle quali la persona conosce la finalità e che sceglie liberamente di compiere. Sono queste le azioni soggette a valutazione morale.

Approfondiamo ora il discorso sulle azioni umane.
Tre sono le coordinate che è necessario tenere presente a questo proposito:

a) la libertà.
Ogni atto può essere:
* elicito: che si ha quando una azione nasce spontanea dalla volontà senza che sia chiamata in causa la razionalità della persona
* imperato: l’azione nasce sì dalla volontà, ma è compiuta con la partecipazione della razionalità
Per meglio chiarire questo concetto, prendiamo il famoso evento di Davide e Betsabea narrato nel 2° Libro di Samuele al cap. 11
Sezioniamo gli atti:
- Davide va sulla terrazza
- Davide vede Betsabea
- Davide vuole Betsabea
Questi tre movimenti costituiscono l’atto elicito, in cui c’è responsabilità morale perchè - Davide sceglie di volere Betsabea.
- Davide si informa su Betsabea
- Davide consuma un rapporto sessuale con Betsabea
- Davide rimanda a casa Betsabea
Questi tre movimenti costituiscono l’atto imperato.
Un atto umano è libero quando non è predeterminato né dall’interno della volontà né dall’esterno.
La libertà è infatti la capacità che la persona umana ha di disporre di se stessa.
L’agire libero ha sempre un connotato morale.
Se, come con altri termini abbiamo già detto prima, la norma morale è il mezzo attraverso il quale la persona conosce la verità di sé (il progetto di Dio sull’uomo, creato a Sua immagine, chiamato a scegliere liberamente di diventare sua somiglianza), quando la persona disobbedisce liberamente alla norma morale sceglie di esistere in una forma che non è conforme alla sua verità di persona, sceglie di essere “meno uomo”. Una scelta dunque che non va contro il precetto in quanto tale, ma contro la sua stessa persona.

b) l’avvertenza.
E’ la consapevolezza che la persona ha del fatto di agire e di come agisce.
Tornando all’esempio di Davide e Betsabea, quando Davide vede Betsabea fare il bagno ha consapevolezza di agire (l’azione sta nel fatto di vedere), mentre quando la desidera ha consapevolezza di come agire (infatti la manda a chiamare).
Nelle azioni umane non sempre c’è piena avvertenza.

c) la volontarietà.
Una azione è volontaria quando procede dalla persona sia come movimento interno sia come azione esterna che si esplica in atti con relative conseguenze.
A proposito di questo, possiamo distinguere tre tipi di atti volontari:
* volontario diretto: si ha quando la volontà si impone sia come fine sia come mezzo. Un esempio molto semplice e concreto: X vuole uccidere Y, lo invita a caccia e gli spara
*  volontario indiretto: l’atto non è voluto in sé, ma è effetto previsto della causa che invece potrebbe essere evitata. Ancora un esempio: X guida ubriaco e investe Y, uccidendolo. X non voleva in realtà uccidere Y (qui sta l’indiretto), ma era ubriaco (qui sta il volontario, la causa che era evitabile)
*  duplice effetto: è qui sottostante una domanda: è lecito compiere una azione o una omissione in sé buona o neutra, ma che provoca un effetto cattivo? La risposta è sì se:
- l’azione è in sé buona o indifferente
- oltre all’effetto cattivo ce n’é uno buono e si aderisce a questo, senza considerare - - - quello cattivo né come mezzo né come fine
- l’effetto buono non è ottenuto tramite l’effetto cattivo
- l’effetto cattivo è giustificato dal movente.
 Facciamo anche qui un esempio per meglio comprendere: Una barca sta affondando. La scialuppa porta 21 persone, sulla barca ce ne sono 22, 1 sceglie di sacrificarsi e muore. Rifacendoci alle quattro condizioni prima elencate:
- l’azione è in sé buona perché si tratta di salvare delle vite
- la persona che si sacrifica sceglie di salvare delle vite, non di suicidarsi
- non è che si salvano 21 vite perché si mette a morte il 22°
- il movente è salvare 21 vite

Prima di concludere dobbiamo fare ancora un’altra riflessione di fondamentale importanza: l’atto umano all’interno del dinamismo biologico-psicologico-sociale della persona.
La persona umana è una e unitaria; questi tre fattori si compenetrano e si influenzano a vicenda.
Li possiamo, per comodità didattica, così suddividerli:
stati fisici, transitori o duraturi, che possono agevolare o inibire la vita umana morale. Basti qui pensare a patologie come il morbo di Alzheimer, piuttosto che non tumori cerebrali, patologie epatiche o renali che obnubilano il livello di coscienza, ecc.
stati psichici, ugualmente transitori o duraturi. Dicasi stili di personalità paranoide, piuttosto che depressione maggiore, schizofrenia, disturbo bipolare dell’umore, DOC, ecc.
ambiente locale. Certi climi, piuttosto che non certi paesaggi o ambienti (persone meteopatiche, oppure affette da disturbi dell’umore portate in zone lacustri, ecc)
comunità o società umana. Si pensi a certi modelli educativi o certe tradizioni tribali o usi e costumi di certi gruppi umani.
influsso sovrumano e soprannaturale (angeli e diavoli)
L’affermazione che stiamo per fare è di fondamentale importanza e gravità:
TUTTI QUESTI FATTORI POSSONO ESSERE, IN VARIO GRADO, DETERMINANTI MA MAI OBBLIGANTI.
La libertà umana ha sempre l’ultima parola. Per quanto compromessa possa essere la situazione della persona, sempre e comunque un margine di libertà resta. Ovviamente la valutazione morale deve tener conto dell’entità del condizionamento, ma mai si potrà dire: “sono stato costretto, non avevo altra scelta”.
Per completare il discorso, analizziamo ora la relazione tra la libertà e alcune specifiche realtà:
* libertà e violenza: può essere impedito un atto imperato, ma mai un atto elicito. Se la violenza è tale da togliere la possibilità di resistere, allora viene compromessa la volontarietà dell’azione e non si può più parlare, in tale circostanza, di azione umana, bensì si parla di azione dell’uomo.
* libertà e timore: anche qui, come nel caso della violenza, se è annullato l’uso della ragione allora non si può più parlare di azione umana. Se invece c’è solo turbamento, allora è diminuita la volontarietà, ma l’azione resta sempre almeno in parte voluta.
* libertà e passioni: le passioni poggiano su ciò che noi abbiamo chiamato emozioni e che, come tali, abbiamo ripetutamente detto essere moralmente neutre. Compito della libertà è umanizzarle, cioè trasformare il sentire in acconsentire o non-acconsentire. Il cosiddetto “dominio delle passioni”, usato in contesti di spiritualità e ascetica, consiste proprio nell’imparare a gestire le emozioni in modo che non sia oscurato l’uso di ragione e non sia impedita la scelta libera.
* libertà e concupiscenza: anche questa non toglie in maniera assoluta la libertà, perché il peccato originale non ha debilitato a tal punto l’uomo da renderlo inetto e incapace di scegliere e di determinarsi.
* libertà e ignoranza: è assoluto dovere morale evitare l’ignoranza e l’errore circa i valori etici necessari affinché la propria sia una vita autenticamente umana.  Qui più che altrove sono ammesse delle attenuanti, ma l’attenuante non assolve comunque del dovere morale di istruirsi. L’ ignoranza può essere:
- antecedente, cioè precede l’atto di volontà
- concomitante, cioè ignoro la natura reale dell’atto che compio, ma anche la conoscessi compirei ugualmente quella azione
- conseguente, cioè si è omessa la dovuta diligenza nel cercare la verità. per meglio comprendere, un esempio: non voglio uccidere; sono incompetente, prendo in mano un fucile, parte un colpo e uccido qualcuno. Io sono moralmente responsabile di omicidio.
* libertà e inconscio: a seguito dell’avvento della psicoanalisi, questa relazione è stata vivacemente dibattuta in vari ambiti e da numerosi punti di vista. Indubbiamente l’inconscio gioca un ruolo determinante nelle scelte e nelle azioni di ciascuno di noi, ma:
- la motivazione dell’azione umana è sempre multidimensionale
- è sempre l’Io a guidare il comportamento dell’uomo perché è l’Io il principio unificatore della personalità: dunque la paternità delle azioni è da attribuirsi sempre all’Io
- nessuno ormai può dire di non sapere che ciascun essere umano ha una parte inconscia: la conoscenza di sé è dunque dovere morale e l’ignoranza ammette sempre meno attenuanti

Siamo così giunti al termine di questo cammino tra alcune questioni di morale e di etica. Sia per l’argomento sia per il tipo di linguaggio prettamente teologico, non è stato probabilmente un camminare per piani sentieri.
D’altro canto l’obiettivo che, come Circolo Antropologico, ci siamo posti è quello di scendere sempre più nella profondità e di camminare con passo spedito e sicuro verso l’adultità, che non è data come diretta conseguenza dell’avanzare dell’età, ma è piuttosto frutto della formazione della coscienza che si interroga e si confronta.
Con questa certezza della possibilità di divenire persone sempre più mature ci prepariamo perciò ad affrontare il prossimo tema antropologico assai impegnativo, quello delle difese.