IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

secondo S. Ignazio di Loyola

Discernimento = arte di conoscere Gesù e di riconoscerlo come nostro Signore e nostro Salvatore.

Il discernimento inteso come comunicazione tra Dio e l’uomo è una realtà dinamica, un cammino che prevede due tappe:

  1. la prima, di purificazione, che ha per finalità una autentica conoscenza di se stessi in Dio e di Dio nella propria storia
  2. la seconda, nella quale il discernimento è diventato un “habitus”.

L’approccio richiesto per addentrarci in questo itinerario deve essere di tipo esistenziale-razionale: il discernimento va imparato accanto a un maestro, nella fatica di un cammino che in maniera progressiva porta alla cristificazione, impegnando notevoli energie nell’osservazione e nell’ascolto dei movimenti della propria interiorità.

 

 

  • IL DISCERNIMENTO: COS’E’?

 

Il rapporto tra Dio e l’uomo si compie nello Spirito Santo: è Lui la persona divina che rende l’uomo partecipe dell’amore del Padre, nel Figlio. Conseguenza di questa partecipazione è che Dio non è esterno/estraneo alla nostra realtà umana ma, al contrario, diventa un fatto interno alla natura stessa dell’uomo. Il discernimento perciò è parte integrante della relazione vissuta tra Dio e l’uomo; ancor più, è lo spazio in cui l’uomo fa l’esperienza della propria libertà, intesa come possibilità di crearsi: nel discernimento cioè l’uomo sperimenta la sua identità come creatore della propria persona. 

Essere in relazione con Dio però significa entrare in una relazione vivificante con tutto ciò che esiste (relazione uomo-uomo e uomo-creato): attraverso la relazione con ogni creatura si ha la possibilità di accedere alla verità di ciascuna.

Il discernimento diviene allora l’arte di comprendere se stessi tenendo conto della visione di insieme, vedendo se stessi nell’unità perché si vede con l’occhio di Dio che vede l’unità della vita.

La relazione tra Dio e l’uomo non è generica e nemmeno i termini possono essere scelti dall’uomo: quella che Dio offre all’uomo è una relazione di figliolanza. Questo non per arbitrio Suo, ma perché Dio è Trinità: Padre e Figlio e Spirito Santo. Dunque a noi, sue creature, è offerta la possibilità di partecipare alla Loro vita intima: nello Spirito, per Figlio, figli del Padre. Nella Trinità le tre Persone divine si comunicano tra loro e comunicano con la creazione. Per questo la persona, introdotta in questo dinamismo, non può che fare esperienza di una relazione comunicativa con Dio.

 

Scrive Rupnilk:

“Il Dio Tripersonale non può essere mai ridotto a una dottrina, a un elenco di precetti, a uno sforzo ascetico, ma si riconosce solo all’interno di un comunicarsi reciproco, dove l’assoluta iniziativa appartiene alla libera relazionalità d’amore di Dio Padre al quale l’uomo risponde con un atto di fede che di fatto è un atto relazionale, un atto cioè allo stesso tempo dell’amore e della libertà, dal momento che è riconoscere l’altro in tutta la sua oggettività e aderire a lui fino a orientarsi radicalmente a Lui. La fede come una radicale affermazione dell’Altro, di Dio, vuol dire aderire con tutto se stessi all’oggettività di Dio (…) L’oggettività dell’altro, di Dio o di un altro uomo, significa proprio la sua relazionalità libera, che io non posso mai possedere”. 

(Il discernimento”, Ed. Lipa, Roma, 2000, pag 14).

 

Il discernimento è l’arte della vita spirituale in cui la persona comprende come Dio le si comunica, la salva, attua in lei la redenzione in Gesù, che lo Spirito Santo rende salvezza per lei; è un comprendere la Parola che gli  è stata rivolta e che dischiude la via perché a tale Parola si possa rispondere nella concretezza della vita. E’ un progressivo vedere se stessi e la storia con gli occhi di Dio. E’ un accogliere responsabilmente la salvezza, aderendo a Gesù scelto come Signore, con delle scelte e degli atteggiamenti che permeano tutta la persona, la sua mentalità, la sua cultura, non in solitudine, ma nel tessuto della Chiesa.

 

Dio parla all'uomo attraverso i pensieri e i sentimenti dell'uomo stesso: Egli infatti non agisce su di lui introducendo realtà che non gli sono proprie. Più profondamente, l'uomo partecipa alla vita trinitaria nello Spirito Santo Amore; è quest'ultimo che agisce come la parte più intima della persona, svelandosi a lui come verità stessa dell'uomo. I pensieri e i sentimenti ispirati dallo Spirito Santo infiammano l'uomo e lo conducono verso la sua piena realizzazione.

Dire però che Dio parla attraverso i pensieri e i sentimenti della persona significa anche affermare che ci sono pensieri e sentimenti attraverso i quali Dio non parla, pensieri e sentimenti che possono far deviare, confondere, illudere. Questi possono venire dal mondo, dall'ambiente, da noi stessi, dal diavolo.

Per operare un corretto discernimento è necessario valutare innanzitutto non solo che il pensiero e/o il sentimento sia buono e sia per la vita, ma che sia buono per me e per la mia vita: lo Spirito Santo infatti è Colui che rende personale la salvezza, che fa in modo che la persona la percepisca presente per sé nell'oggi.

In secondo luogo va valutato quali sentimenti accompagnano i pensieri e quali pensieri accompagnano i sentimenti. L'interazione tra i due è importante perché permette di valutare lo stato di personale adesione a Dio e alla realtà, contro ogni illusione. Il pensiero svela l'opzione per Dio e per il Vangelo, ma esso rischia di essere astratto e svincolato dal vissuto, come può essere condizionato dal contesto culturale nella accezione più ampia del termine; il sentimento svela più facilmente la concretezza della persona... e Dio parla sempre alla persona concreta... Per questo è necessario tenere insieme sempre questi due aspetti. 

Obiettivo è l'unificazione dell'essere umano, acquisire il gusto di Dio e delle cose Sue: in altre parole, si tratta di giungere alla conoscenza spirituale esercitandosi nel far memoria costante dei gusti spirituali. Quando questo atteggiamento diventa "habitus", si può dire di essere giunti a vivere in un atteggiamento di costante discernimento, cioè di costante attenzione a Dio e all'opera dello Spirito, in una dinamica di relazione aperta e continua con Loro. Per far questo è necessaria una radicale umiltà, che permette alla persona di non essere più autoreferenziale: al centro non è più l'io, ma la relazione con la Trinità.

 

 

  • 1° TAPPA: VERSO IL GUSTO DI DIO

 

La prima tappa del discernimento porta la persona a una sempre più profonda conoscenza si se stessa e di Dio. La meta inevitabilmente è il riconoscersi peccatore...amato e perdonato. Si progredisce in questa fase del cammino riconoscendosi per ciò che si è e per ciò che si è chiamati a divenire.

La seconda tappa del cammino consiste nel far divenire costante la memoria dell'opera di Dio nello scorrere dei giorni: in questo modo si impara a leggere e a ricordare la storia - personale e comunitaria/sociale -. La custodia di questa memoria è molto importante, perché lo spirito del male suscita la tentazione: il cuore è la sede della decisione e quando la persona aderisce alla tentazione inizia a custodire la memoria del peccato…

Ciò che differenzia sostanzialmente questa conoscenza da quella di una psicologia chiusa in se stessa è l’atteggiamento fondamentale di dialogo e di apertura che permette di scoprirsi all’interno 

di una relazione curata, di non trovarsi da soli con il proprio limite/peccato, di non ripromettersi miglioramenti di cui poi spesso non si è capaci, bensì si sperimentarsi salvati e redenti, nuova creatura.

Il discernimento non obbedisce a regole astratte, ma lo si impara entrando in una sana relazione di discepolato-paternità o maternità spirituale.

Questo ovviamente non significa che non esistano criteri di discernimento, anzi! La tradizione ce ne consegna alcuni molto importanti:

  • la ripetizione, che suscita nell’interno una reazione. Questo permette di valutare il reale rapporto tra un pensiero e la verità della persona concreta (si integra solo ciò che attinge alla vita vera…)
  • da evitare è il pensiero che proviene dall’esterno, che la persona accoglie in sé perché ha un fascino sensoriale e affettivo, o perché si presenta con veemenza e pressione (ciò che ha il volto dell’urgenza è sempre di dubbia provenienza: le cose di Dio maturano lentamente, gradatamente, non sono mai obbliganti)
  • il pensiero che non permette una libera adesione o che non fa mantenere viva la coscienza delle relazioni è un pensiero che non viene dallo Spirito
  • quando non si dà retta a un pensiero, se torna di nuovo, probabilmente viene dallo Spirito, perché Dio  “sta alla porta e bussa”
  • lo Spirito è la relazione d’amore tra il Padre e il Figlio fatta Persona. Egli suscita sempre relazione. Quando un pensiero e/o un sentimento sganciano dalle relazioni e introducono indifferenza, di certo non provengono da Lui

 

Il discernimento, nella prima fase, consiste sostanzialmente nell’imparare a riconoscere quei pensieri che portano a confessare la Trinità presente e operante e ad ammettere, restando dentro la relazione con Loro, tutti quei pensieri-sentimenti-azioni il cui fulcro era l’io.

Dice Rupnik:

“La prima fase del discernimento spartisce i pensieri in due epicentri: o io, o Dio. Si tratta della conoscenza di sé più in fondo, come riconosco me stesso nel più profondo orientamento che riesco a intravedere: se mi percepisco come io che pensa, programma, agisce e sottoscrive la vita da solo, oppure  se mi riconosco come una persona di relazione, di legami, che vede se stessa insieme agli altri, soprattutto nell’orientamento radicale nella relazionino che dà la vita, che è il riconoscimento di Dio in Gesù Cristo. (…) Se l’uomo sceglie Cristo, sceglie tutte le cose di Cristo, cioè tutto gli ricorderà Cristo e lo riporterà a Lui e troverà se stesso con Cristo in tutte le cose”.

(“Il discernimento”, Ed. Lipa, Roma, 2000, pag 44-45).  

 

Se è vero che tutti gli uomini anelano alla gioia e al benessere interiore, il primo discernimento da operare è verificare verso quale pace interiore siamo orientati. Nei suoi “Esercizi Spirituali” S. Ignazio di Loyola distingue con chiarezza tra due tipi di gioia:

  • la gioia “frizzante”, attraente, convincente, chiassosa, forte, caratterizzata da intense emozioni…ma di breve durata. E’ generata da un elemento esterno (un luogo visitato, una persona incontrata, una musica ascoltata, un’immagine vista, un successo ottenuto, una festa a cui si è partecipato, un cibo che si è gustato). Coinvolge la persona a livello sensoriale, obbliga all’espressione, a raccontare subito cosa si prova. Può essere generata anche da momenti di preghiera. Proprio al riguardo i padri spirituali ammoniscono sul rischio di essere troppo concentrati sui sentimenti e sui piaceri che vengono dalla preghiera - sottile ricerca di gratificazione - invece che sulla relazione con la Trinità.
  • la gioia “silenziosa”, di cui normalmente non si vede l’origine esatta, è difficilmente riconducibile a eventi esterni, è composta, pacifica, semplice, contemplativa. La persona che la sperimenta vive in comunione con gli altri senza sentire il bisogno di inondarli di parole: una eventuale condivisione matura da sé, a suo tempo e luogo. Più la gioia è intensa e profonda, meno si sente il bisogno  di parlarne (si parla solo se gli altri chiedono, non di propria iniziativa). I padri spirituali chiamano questo atteggiamento “sobrietà”; non si percepisce il bisogno di tornare a luoghi speciali o a esperienze precise, perché questa gioia appartiene alla persona, la porta dentro di sé. Questo è l’ambito in cui lo Spirito parla di più.

 

Siccome il discernimento si muove al confine tra lo psicologico e lo spirituale, si tratta di capire, all’interno del mondo della persona, che cosa è di Dio, come Lui le si comunica. Il discernimento da un lato si occupa di una sfera puramente psichica - come osservare i sentimenti, i pensieri, i cambiamenti di stati di umore - e dall’altro dischiude queste realtà alla loro dimensione spirituale.

Si ha uno stato psicologico di pace quando i pensieri e i sentimenti sono indirizzati verso lo stesso soggetto; in caso contrario si ha uno stato di inquietudine. 

Ai fini del discernimento, fondamentale risulta perciò comprendere verso quale oggetto si è orientati, giacché la pace in sé potrebbe essere semplicemente di tipo psicologico, non segno della presenza e dell’azione dello Spirito Santo.

L’attenzione va posta perciò non su come ci si sente o su cosa si sente, bensì sulla provenienza del sentire, su dove porta quel sentire e dove spingono i pensieri che ne derivano. E’ importante anche non lasciarsi ingannare dalle impressioni immediate e non dedurre mai l’orientamento fondamentale da singoli episodi o gesti momentanei: anche se si aderisce a Dio, si resta comunque peccatori e il quotidiano resta costellato di sbagli!

 

Scendendo ancora più in profondità:

se la persona vive i valori congiunti o quelli trascendenti in maniera autocentrata, lo spirito cattivo tenderà a suscitare nella persona sentimenti e pensieri sinergici, in modo da farle sperimentare un senso di pace, cosicché non si metta in discussione e resti autocentrata. Lo Spirito Santo invece tenderà a separare ragione e sentimento, perché la persona, a partire dal malessere che prova, si interroghi e si orienti verso Dio e torni a vivere nella gioia e nella pace… ma in maniera eterocentrata. E’ esattamente l’oggetto della preoccupazione della persona che fa la differenza: l’io o la partecipazione al piano salvifico di Dio?

 

 

 

  • 2° TAPPA: COME RIMANERE IN DIO

 

Il discernimento della seconda fase è quello di chi ha già scelto di essere discepolo di Gesù, con Lui figlio del Padre e vive con la Trinità una relazione personale. La sua memoria è tutta protesa a mantenere desta l’esperienza di Loro, al Loro amore salvifico, al desiderio-bisogno-volontà di unificare tutto di sé in Loro. La persona vive già una pace pressoché costante (indipendentemente dalle avversità o meno della vita), è sempre sostanzialmente serena e la sua intelligenza, creativa, è protesa a scoprirsi e realizzarsi nella sua vera identità di figlio.

L’ascesi è sua compagna di viaggio, intesa non come rinuncia, ma come custodia e semplice fedeltà di quanto già gusta, nella certezza che la fonte spirituale è inesauribile.

In questa tappa del cammino lo Spirito Santo dona alla persona consolazioni spirituali che ella sente e gusta; i suoi pensieri cercano costantemente Dio e la Sua volontà. La persona ha liberamente scelto di aprire la porta alla Trinità, cosicché i Tre entrano nel cuore attraverso i sentimenti e i pensieri in maniera soave, senza rotture, senza forzature, senza che ella li percepisca come “estranei” che turbano, inquietano e rattristano. Se nella prima tappa sia lo spirito del male sia lo Spirito Santo possono portare inquietudine, qui i pensieri che agitano sono ispirati solo dal nemico. Siccome però la persona è stabilmente orientata a Dio, per non essere scoperto di traveste in “angelo di luce”: esattamente qui si gioca il discernimento. Si intrufola con pensieri e sentimenti apparentemente spirituali, per poi pian piano far deviare la persona sganciandola dalla Trinità e facendola di nuovo orientare a se stessa, rendendola schiava della sua propria autogestione.

L’arte della persona spirituale è perciò quella di crescere costantemente nella vita spirituale in maniera sempre più decisa e piena, aderendo alla Trinità in maniera matura, conformando pensieri, sentimenti, volontà e azione a quelli di Gesù (il cammino di cristificazione cui si è più volte accennato). 

Le tentazioni anche per la persona spirituale sono una continua sfida; esse fanno leva sugli “otto spiriti della malvagità” (o i setto vizi capitali); la modalità con cui esse si presentano è più raffinata, ma la sostanza è sempre la stessa. La madre di tutte resta la “filautia”, l’amore di sé (ad es. la vanagloria travestita da zelo apostolico…)

Il nemico tenta di portare la persona spirituale a non essere realmente con Gesù, ma a farglielo solo pensare: Egli smette pian piano di essere per lei una persona vivente, il suo Signore e Salvatore, e viene sostituito da molteplici pensieri su di Lui, da una dottrina articolata, da un sentimento che solo in apparenza è per Lui. In realtà la persona si trova di nuovo chiusa in se stessa e Gesù è pura fantasia: cartina di tornasole è quanto l'amore che la anima è amore pasquale...

Un'altra tentazione è quella di separare Gesù dal contenuto oggettivo della fede: o ci si appella al sistema dei concetti, dei precetti e delle istituzioni, o ci si appella a una dimensione pseudo-carismatica, assolutamente soggettiva, negando la dimensione oggettiva , storica e incarnata della fede. È in entrambi i casi riduzione della fede a ideologia.

Una terza tentazione è quella di giungere a pensare che è la persona a condurre, da sola, la lotta spirituale: è un raffinatissimo scivolone verso l'autocentrazione....

Ancora, la persona spirituale può compiacersi del grado cui è giunta e decidere di...fermarsi e non lottare più, perché ritiene sufficiente il benessere di cui gode: anche questo è porre al centro la propria unità di misura invece che la relazione con la Trinità e la partecipazione alla loro vita intima.

Un'ultima tentazione è l'inseguire le consolazioni spirituali invece che essere protesi a lasciarsi sempre più inabitare dallo Spirito Santo; il nemico camuffa pseudo consolazioni, la persona spirituale disattenta non le riconosce, il diavolo si trova la porta aperta per poter poi compiere la sua opera.

Altri segni che si sta lasciando il vero cammino di cristificazione sono:

* la fretta

* lo sguardo rivolto agli altri (atteggiamenti, pensieri, comportamenti), invece che a se stessi... sguardo che facilmente è giudicante o comunque di una certa qual sufficienza

* sguardo focalizzato sui dettagli, che perde di vista l'insieme... ma poi si esprime come se il particolare fosse il tutto (il passaggio all'ideologia qui è molto breve)

* riduzione della fede a strumento di gratificazione dei bisogni psicologici (per questo è molto utile avere una buona conoscenza di sé!). A questo riguardo, non è certo condizione indispensabile avere una psiche perfettamente sana per potersi incamminare sulle vie dello Spirito, ma è utilissimo avere una buona conoscenza della struttura e del funzionamento della propria corporeità e della propria psichicità per saper discernere i movimenti interiori. 

 

Un sintomo che il pensiero viene dal nemico e non dallo Spirito Santo è la testardaggine, che poggia sulla filautia. Lo Spirito apre a uno sguardo di insieme, conduce all'unità, all'armonia, alla bellezza.

Molto pericolosa è anche la superbia spirituale, che stuzzica difese quali isolamento, proiezione, ritiro sociale.

 

Quali armi usare contro queste tentazioni?

  • la lettura di testi autenticamente spirituali, che sappiano accompagnare la persona nel leggere in modo sapienziale la sua storia
  • l’agiografia; molto utile è l’amicizia con un santo, perché favorisce il cammino di sequela nella sua radicalità
  • il colloquio regolare con una persona spirituale
  • camminare all’interno della comunità ecclesiale
  • tenere desta la memoria dell’opera della Trinità nella propria persona e nella propria storia (la preghiera, in questo stadio, è sostanzialmente un’opera di memoria e una semplificata invocazione del Loro nome); utile è annotare le cose essenziali che maturano nella preghiera e nel rapporto con la Trinità

 

 

Anche in questo stadio del cammino si può essere condotti dallo Spirito nel deserto della desolazione: la Grazia permane nella persona, ma nasconde la sua luce e il suo calore. E’ un passaggio educativo perché si ha la possibilità di far raggiungere dalla salvezza parti di sé che nei momenti di consolazione possono restare in ombra e non venire evangelizzate. E’ importante restare saldi nelle decisioni prese nel tempo della consolazione, perseverare nella preghiera e nell’amicizia con i santi, non prestar fede ai suggerimenti del nemico. Nella desolazione i desideri si purificano e la persona impara ad amare il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo per loro stessi e non per le gioie che essi elargiscono. Sottolineatura importante: nella desolazione l’anima può essere triste, vuota, ma mai turbata: resta di fondo la certezza della presenza e dell’amore della Trinità che mai abbandona.

 

 

 

“Il processo di discernimento che il cristiano è chiamato a fare 

non può mai riguardare il fine. 

Potrà riguardare la scelta dei mezzi 

mediante i quali l’uomo è introdotto progressivamente a vivere quella totalità. 

È quindi soltanto a partire dalla contemplazione della pienezza di quel fine 

che è possibile cogliere il significato del discernimento 

e anche il suo valore permanente”.

(Card. C. M. Martini)