GREGORIO il Sinaita

Un terzo autore dell’esicasmo athonita è Gregorio il Sinaita. La Filocalia riporta cinque suoi testi, di cui tre relativi all’hesychia: “Rigorosa notizia sull’esichia e sulla preghiera, e ancora sui segni della grazia e dell’illusione. E quale differenza vi sia tra il calore e l’operazione, e come senza una guida, facilmente si insinui l’illusione”, “L’esichia e i due modi della preghiera in quindici capitoli” e infine “ Come l’esicasta deve starsene seduto in preghiera e non alzarsene presto”. In realtà anche nelle altre due opere tratta della necessità di tenere desta la continua memoria di Dio e di liberarsi dalla molteplicità di pensieri e immagini che distraggono il cuore. La memoria di Dio rende consapevole l’orante della grazia battesimale ricevuta. L’invocazione del nome poi non può mai essere disgiunta dall’osservanza dei comandamenti, altrimenti la fede non è né viva né autentica. Se è vero che è l’uomo che sceglie di mettersi in preghiera, Gregorio sottolinea come chi veramente opera nella preghiera è Dio attraverso il Suo Spirito. In ultima analisi dunque l’hesychia è l’incessante preghiera dello Spirito nel cuore dell’uomo. Anche questo autore utilizza il metodo psico-fisico:

 

Alla mattina – dice Salomone – semina il tuo seme (quello, cioè, della preghiera) e alla sera non si rilassi la tua mano, perché non accada che la continuità della preghiera subisca interruzione e, giunto all'ora in cui saresti esaudito, tu venga meno. Poiché non sai - dice - quale seme darà frutto, se questo o quello. Fin dal mattino siedi su uno sgabello alto una spanna, porta l'intelletto dalla sede mentale del principio direttivo al cuore, e là tienilo stretto. Curvato penosamente, con forte dolore del petto, delle spalle, del collo, grida con perseveranza col pensiero o l'anima: “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me!” Poi, per l'angustia e la fatica, forse anche per la noia di questa continuità (ma certo non a motivo dell'unico cibo del triplice nome di cui ci si ciba continuamente, poiché è detto: Quelli che mangiano di me avranno ancora fame), facendo passare l'intelletto all'altra metà della formula, dì: “Figlio di Dio, abbi pietà di me”. Ripetendo metà formula con frequenza, non devi però alternarle continuamente per noncuranza: perché le piante continuamente trapiantate non mettono radici. Trattieni anche il respiro in modo da non respirare a tuo agio. Perché l'aria dei respiri che sale dal cuore, oscura l'intelletto e agita la mente, allontanando l'intelletto dal cuore, oppure consegnandolo prigioniero all'oblio. o inducendolo a soffermarsi su cose svariate, perché - senza accorgersene - arrivi a trovare ciò che non deve. Se ti accadesse di vedere le impurità degli spiriti malvagi o dei pensieri che salgono nel tuo intelletto o vi assumono forme cangianti, non spaventarti. E se ti apparissero concetti buoni di qualche realtà, non far caso neppure a questi. Ma domina per quanto ti è possibile il respiro, rinchiudi l’intelletto nel cuore e persevera continuamente nell’invocazione del Signore Gesù: in tal modo, presto brucerai e reprimerai questi pensieri, flagellandoli invisibilmente con il nome divino. Dice infatti il Climaco: “Col nome di Gesù flagella gli avversari. Poiché non vi è arma più potente in cielo e sulla terra”[1].

 

Il respiro di cui parla è però interpretato da Gregorio in modo simbolico ed è lo Spirito Santo, che immette nell’orante la vita divina. Il porre attenzione alla respirazione dunque  è un possibile mezzo per divenire consapevoli dell’unione con la Trinità. Si legge infatti: 

 

Che si debba controllare l'espirazione lo attesta Isaia Anacoreta parlando di questo, e con lui molti altri. Uno dice: “Domina l'indomabile intelletto” - cioè l'intelletto incalzato e dissipato dalla potenza avversa che, in forza della negligenza, di nuovo, dopo il battesimo, ritorna insieme ad altri spiriti più malvagi nel l'anima noncurante, come dice il Signore, e rende la situazione ultima peggiore della prima. Un altro dice che il monaco deve avere il ricordo di Dio in luogo del respiro. Un altro, che l'amore di Dio deve precedere l'espirazione. E il Nuovo Teologo dice: “Trattieni anche il soffio delle narici, in modo da non respirare a tuo agio”. E il Climaco: “Il ricordo di Gesù si unisca al tuo respiro e allora conoscerai il vantaggio dell'esichia”. E l'Apostolo dice che non lui, ma il Cristo vive in lui, operando e inspirando la vita divina. E il Signore dice: Il vento soffia dove vuole, prendendo ad esempio il soffio del vento sensibile: poiché, quando siamo divenuti puri, abbiamo ricevuto la caparra dello Spirito la Parola seminata in noi come sementa - come dice Giacomo, fratello di Dio - che è stata piantata e ha come fatto corpo con noi in una partecipazione impartecipabile e che senza commistione di deifica, senza subire diminuzione, traboccante com'è di bontà. Ma poiché abbiamo in seguito trascurato i comandamenti - custodi del la grazia - siamo di nuovo caduti nelle passioni a motivo della nostra negligenza. Anziché respirare lo Spirito Santo, ci siamo riempiti dei respiri degli spiriti malvagi: ed è chiaro che da essi provengono sbadigli e stiramenti, come dicono i padri. Chi infatti possiede lo Spirito ed è stato da esso purificato, viene da esso riscaldato, esso gli insuffla la vita divina, parla, pensa e si muove secondo la parola del Signore: Non siete voi che parlate, ma lo Spirito del Padre mio che parla in voi. Chi viceversa , ha lo spirito opposto ed è da lui dominato, fa e parla in modo contrario a Dio[2].

 


[1] Filocalia vol. 3, Torino, Gribaudi, 1985, 585-586.

[2] Ibid., 586-587.