BARLAAM il Calabro
L’introduzione di metodi psico-fisici nella preghiera cristiana è novità assoluta e suscita non poche problematiche.
Il secolo XIV vede scontrarsi due personalità di grande statura: Barlaam e Gregorio Palamas.
Il primo è originario della Calabria. La sua solida cultura gli conferisce fama. In Italia viene a contatto con gli ambienti umanistici aperti al tomismo. Intorno al 1330 si stabilisce a Costantinopoli. Approfondisce in particolare la dottrina di Dionigi l’Areopagita e giunge a sostenere con molta forza l’impossibilità di conoscere Dio.
Accusato di agnosticismo, viene a contatto con il mondo degli esicasti: è colpito dal loro realismo mistico, ma anche mal impressionato dai metodi di preghiera da essi utilizzati.
A partire dal proprio impianto filosofico, Barlaam sostiene innanzitutto che anima e mente sono inseparabili e dunque non è possibile, tramite la respirazione, portare l’intelletto nel cuore.
La seconda obiezione riguarda il fatto che, durante la preghiera, l’esicasta è invitato a fissare con gli occhi del corpo l’ombelico per cercare, con lo sguardo interiore, il luogo del cuore . Barlaam ritiene questa pratica ridicola e animalesca e soprannomina gli oranti omphalopsìchici, cioè persone che hanno nell’ombelico la loro anima.
La terza questione è relativa alla ripetizione del Nome di Gesù: per Barlaam infatti non vi può essere nessun automatismo e nessun metodo infallibile contro il demonio: solo la grazia di Dio, a dispetto di qualunque metodo umano.
Ancora, egli afferma che non è possibile alcuna percezione sensibile dello Spirito Santo nell’anima, perciò sono false tutte le sensazioni di luce o di calore percepibili con i sensi del corpo. Da ultimo contraddice gli esicasti circa l’esperienza taborica: questi ultimi infatti sostengono che la realtà divina che talvolta si manifesta ad alcuni santi è come la luce divina apparsa ai discepoli il giorno della trasfigurazione di Gesù. Barlaam invece afferma che non è possibile alcuna visione di Dio. Così egli scrive:
Se essi concordano nel dire che la luce intelligibile e immateriale di cui parlano è lo stesso Dio sovraessenziale, e se nello stesso tempo continuano a riconoscere che Egli è assolutamente invisibile e inaccessibile ai sensi, si trovano davanti ad un' alternativa: dichiarando di vedere questa luce, essi devono considerarla o come un angelo, o come l'essenza stessa dell'intelletto, allorché, purificato a un tempo dalle passioni e dall' ignoranza, lo spirito vede se stesso e in se stesso vede Dio nella sua propria immagine. Se la luce di cui parlano si identifica con una di queste due realtà, bisogna considerare il loro pensiero come perfettamente corretto e conforme alla tradizione cristiana; ma se essi dicono che questa luce non è né l'essenza sovraessenziale, né un'essenza angelica, né lo spirito stesso ma che lo spirito contempla come un’altra ipotesi, non so, per quel che mi riguarda, che cosa sia queta luce, ma so che non esiste [1].
Queste parole indicano in realtà una posizione teologica molto radicale che mina alla base non solo l’esperienza mistica, ma la possibilità per il cristiano di partecipare alla vita divina. Barlaam è ferreo sostenitore del silenzio su Dio.