METODO DELLA SANTA PREGHIERA E ATTENZIONE

Metodo della santa preghiera e attenzione
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Nel XIII e XIV secolo l’esicasmo giunge all’Athos ove, proprio per il tipico stile di vita dei monaci, trova terreno fertile. Come già per la fase sinaitica, anche qui esso subisce un peculiare adattamento. Innanzitutto la tradizione esicasta viene semplificata e riportata a tre pilastri fondamentali: hesychia, nèpsis, prosoché. Il secondo aspetto è l’uscita della Preghiera del Nome dalla stretta cerchia monastica, per raggiungere sia il clero ortodosso sia il mondo laicale. Da ultimo, una particolare enfasi data alle tecniche psicofisiche, abbinate alla ripetizione del Nome. 

Il primo autore athonita da prendere in considerazione è il redattore del “Metodo della santa preghiera e attenzione”, che la tradizione identifica con Simeone il Nuovo Teologo, ma che probabilmente è di autore sconosciuto, chiamato da alcuni studiosi Peseudo-Simeone, mentre altri attribuiscono il testo a Niceforo. Nel suo trattato, che nella Filocalia porta il titolo “Le tre forme di preghiera”, l’autore presenta appunto tre forme di orazione, ma premette la raccomandazione di tenere attenzione e preghiera inseparabili, perché da entrambe unite dipende la salvezza o la morte dell’anima: l’attenzione custodisce la preghiera pura e così è assicurato il progresso, viceversa non solo non si progredisce, ma ci si contamina con pensieri cattivi fino a diventare cattivi. Tre sono le forme di preghiera. La prima consiste nel levare le mani al cielo, nel rappresentarsi con l’intelletto i beni del cielo e tutto ciò che si ascolta nella Sacra Scrittura; si può giungere fino a piangere. Il cuore lentamente si insuperbisce, credendosi degno di tali consolazioni, e prega Dio di conservarlo in tale stato di grazia. Tutto questo però è illusione, che può coinvolgere anche i sensi del corpo: si vedono luci, si sentono profumi, si odono voci e altre percezioni simili. E’ tutto opera del diavolo, che tenta in questo modo soprattutto l’anacoreta, che può persino cadere nella pazzia; più preservati sono i monaci cenobiti. La seconda forma di preghiera consiste nel raccogliere dentro di sé l’intelletto, nel custodire i sensi, nell’esaminare i sensi, nel prestare attenzione alle parole delle preghiere pronunciate. Questi sforzi però di alternano a momenti in cui l’anima è trascinata verso le cose sensibili, o cattive, o vane. Dopo essere stata vinta dalle passioni, essa fa molta fatica a ritornare in se stessa, dunque permane in una continua situazione di lotta interiore. Molto spesso è anche vittima della vanagloria e della superbia, soprattutto quando è nello sforzo di tenere raccolto l’intelletto. La terza forma di preghiera infine è quella che ha a suo saldo fondamento l’obbedienza al padre spirituale. In tal modo l’anima è autenticamente libera dalle preoccupazioni ed è lontana da ogni forma di attaccamento al mondo, ma soprattutto a se stesso e alla sua volontà. Lo strumento per giungere a questa preghiera è la custodia di una coscienza pura: nei confronti di Dio (non facendo cose che sono contrarie al Suo servizio o a Lui sgradite), del padre spirituale (facendo senza esitazione ciò che egli comanda), nei confronti degli altri (nel non fare loro ciò che non si vuole che sia fatto a sé) e infine nei confronti delle cose (evitando gli abusi nel cibo, nella bevanda e nell’abbigliamento). Questa terza forma di preghiera viene così descritta:

 

Così tu ti avvarrai della verace e sicura strada della terza forma di attenzione  e di preghiera, che è questa: che cioè l’intelletto custodisca il cuore nel tempo della preghiera, si aggiri sempre all’interno del cuore  e di là dentro, dal profondo del cuore, elevi le preghiere a Dio. Appena, dall’interno del cuore, avrà gustato che buono è il Signore e ne avrà avuto dolcezza, l’intelletto non vorrà ormai più allontanarsi dal luogo del cuore, e allora dirà anch’esso le stesse parole che disse l’apostolo Pietro: E’ bene per noi stare qui. Ininterrottamente  guarderà là dentro al cuore e là si aggirerà gettando fuori in qualche modo e inseguendo tutti i concetti che vengono là seminati dal Nemico, il diavolo[1].

 

Questa è l’hesychia del cuore, che rende possibile l’accoglienza dei doni divini e soprattutto, divenuto puro, può essere reso degno di vedere Dio. Alla coscienza pura va premessa la morte a tutte le cose, insieme al distacco da ogni passione; mai il pensiero deve essere rivolto alle cose mondane.

Viene poi descritto come pregare: si ha una prima descrizione del metodo psico-fisico:

 

Poi siedi in un luogo appartato e silenzioso da solo, in un angolo; chiudi la porta e raccogli il tuo intelletto da ogni cosa vana ed effimera; a questo punto appoggia sul petto la mascella inferiore, cioè il mento, per esercitare l'attenzione in questo modo all'interno di te stesso con il tuo intelletto e i tuoi occhi sensibili. Trattieni un poco il respiro così da tenere lì il tuo intelletto per trovare il luogo dove sta il cuore, e la stia interamente anche il tuo intelletto. Là, al principio, ti troverai dentro una grande oscurità, insensibilità e durezza. Ma quando avrai realizzato quest'opera dell'attenzione incessantemente notte e giorno troverai - o meraviglia! - una gioia incessante. Poiché l'intelletto che per questo lotta raggiungerà il luogo del cuore e subito vedrà là dentro quelle cose che mai aveva visto né conosciuto, poiché vedrà l'aria che si trova là dentro nel cuore e vedrà tutto se stesso luminoso e pieno di ogni prudenza e discernimento. Da quel momento in poi, da qualunque parte si affacci e appaia qualche pensiero, prima ancora che entri e sia oggetto di riflessione o di raffigurazione, subito l'intelletto lo caccia di là e lo distrugge col nome di Gesù, cioè col “Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me”. Da allora l'intelletto dell’uomo comincia ormai ad avere rancore, passione e guerra incessante contro i demoni e solleva contro di loro l'ira naturale, loro la caccia, li colpisce e li distrugge. Ciò che in seguito accade lo imparerai da solo con l'aiuto di Dio, per esperienza, mediante l'attenzione dell'intelletto e tenendo nel cuore Gesù, cioè la preghiera “Signore Gesù Cristo, ecc.”, poiché dice un padre: “Siedi nella tua cella, ed essa ti insegnerà tutto”[2].

 

Tre sono gli aspetti puntualizzati: la posizione rilassata, la tecnica del respiro e il cuore nelle viscere. In una nota della Filocalia però si fa notare come il testo originale fosse differente:

 

«Appoggiando al petto la barba e volgendo il tuo occhio sensibile, con tutti l’intelletto, al centro del ventre, cioè all’ombelico, trattieni il respiro, ecc».

 

L’omissione è quella che ha scatenato le polemiche di Barlaam il Calabro. Nicodemo e Macario, redattori della Filocalia, hanno forse ritenuto inopportuno continuare a insistere su questo particolare, nonostante la risoluzione del conflitto operata da Gregorio Palamas[3].

Da ultimo viene di nuovo ribadita l’importanza, nel cammino di preghiera, di sedare anzitutto le passioni (i principianti), poi di salmodiare (quelli che progrediscono), poi di pregare con l’intelletto (chi è giunto all’apice del progresso) e infine si accede alla contemplazione (i perfetti).

 


[1] Filocalia vol. 4, Torino, Gribaudi, 1987, 510-511.

[2] Ibid., 512-513.

[3] Ibid.