GREGORIO Palamas

A rispondere alle obiezioni di Barlaam è Gregorio Palamas con la sua opera “Triadi per la difesa dei santi esicasti” e lo fa nella sua triplice identità di monaco, di teologo e di pastore (arcivescovo di Tessalonica dal 1347 alla morte).

Cinque sono le argomentazioni. 

1° argomentazione

Nella prima egli afferma che Dio in sé non è soltanto al di sopra della conoscenza, ma anche della non-conoscenza. Ciò che di Lui si conosce sono solo le azioni, che però sono percepite esclusivamente dalle anime purificate. Così egli scrive:

 

L'invisibile si lascia contemplare da coloro che hanno il cuore purificato, in una maniera però né sensibile, né invisibile, né per via negativa, bensì attraverso un' invisibile potenza, poiché la maestà sublime e la gloria del Padre non possono essere in nessuna maniera accessibili ai sensi... Per via di negazione non è possibile né vedere né concepire niente, mentre Stefano vide la gloria di Dio. Se questa visione fosse intellettuale, se fosse derivata da una visione o da un'analogia, significherebbe che noi vedremmo come lui, perché pure noi potremmo, per analogia, rappresentarci che il Dio divenuto uomo sta in piedi o assiso nei cieli alla destra della maestà divina... In che modo il Protomartire ha avuto questa visione...? Oserò dirtelo: spiritualmente (cioè nello Spirito Santo).. Anche tu, se sei ripieno di fede e di Spirito Santo, puoi contemplare spiritualmente le cose invisibili [1]

 

La conoscenza di Dio, in virtù del battesimo e dell’eucaristia, è offerta a tutti gli uomini non solo a un livello spirituale, ma anche esperienziale. E’ la teologia sapienziale che poggia sui sensi spirituali e che coinvolge tutto l’uomo nella sua triplice dimensione fisica, psichica e spirituale.

 


[1] Triadi I,3,30. In: M. Brunini, La preghiera del cuore nella spiritualità dell’oriente cristiano, 199.

2° argomentazione

 

Nella seconda argomentazione Palamas sostiene che nella sua essenza Dio rimane inaccessibile all’uomo in quanto tale perché l’essenza divina è solo del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Tuttavia per grazia Dio discende nell’uomo e lo fa partecipare della comunione trinitaria. Questo è il cammino di deificazione. Tale partecipazione poi non è chiusa in se stessa; al contrario, l’uomo deificato per grazia diviene canale attraverso il quale lo Spirito raggiunge gli altri uomini e il mondo.

Ancora si legge: 

 

La grazia della deificazione oltrepassa la natura... e, per mezzo suo, Dio nella sua integrità viene ad abitare nella totalità dell'essere di colui che ne è degno, e i santi abitano nella totalità di Dio con tutto il loro essere e, per l'ascensione che essi hanno compiuto per salire fino a lui, non ricevono altra ricompensa che Dio solo; egli si unisce a loro come l'anima si unisce al corpo, come se loro fossero le sue proprie membra e ritiene giusto di dimorare in quel corpo per adozione ipostatica, secondo il dono e la grazia dello Spirito Santo [1].

 


[1] Triadi III,1,27. In: M. Brunini, La preghiera del cuore nella spiritualità dell’oriente cristiano, 299.

3° argomentazione

La terza argomentazione è relativa al ruolo del corpo nella vita e nella preghiera del cristiano. I punti di riferimento sono l’incarnazione del Figlio di Dio e i sacramenti. Da ciò si deduce che anche il corpo è chiamato a partecipare al processo di divinizzazione.

Sempre nelle “Triadi” si legge: 

 

L’anima non è la sola a godere delle promesse future, anche il corpo compie unito ad essa la corsa evangelica verso quelle promesse. Colui che nega ciò nega anche la vita dei corpi nel secolo a venire. Se il corpo potrà partecipare ai beni segreti, significa che lo può fare sin d'ora, in conformità alla sua natura, quando Dio gli dona la sua grazia. Per questo motivo noi affermiamo che le grazie ricevute vengono percepite dai sensi, ma aggiungiamo il termine “spirituali” perché essi trascendono quelli naturali, dal momento che per prima li riceve la nostra mente: essa si eleva, infatti, sino alla Mente suprema e vi partecipa in maniera divina nella misura del possibile. Essa si trasforma e trasforma il corpo che le è legato per renderlo più divino, mostrando ed annunciando in questo modo l'assorbimento della carne per opera dello Spirito, come si verificherà nel secolo futuro. Non sono gli occhi del corpo, ma quelli dell'anima che ricevono la potenza dello Spirito, la quale permette loro di vedere simili cose. Questa potenza noi la chiamiamo “spirituale”, sebbene sia superiore allo spirito umano [1].

 


[1] Triadi I,3,33. In: M. Brunini, La preghiera del cuore nella spiritualità dell’oriente cristiano, 200-201.

4° argomentazione

Quarta argomentazione è relativa alla luce taborica, che è possibile contemplare grazie alla purificazione dei sensi e alla preghiera incessante.

E’ un dono dello Spirito Santo.

La luce che viene percepita cioè non è fisica, ma spirituale, apre gli occhi dell’anima che la contemplano, ma pure agisce sul senso corporale, che gode di qualche suo riflesso.

Del resto, prima ancora che degli esicasti, questa è esperienza di S. Paolo, come si legge in At 9,3; prima ancora di S. Paolo, la luce taborica viene contemplata con gli occhi del corpo da Pietro, Giacomo e Giovanni, come si legge in Mt 17,1-9, come sostiene Palamas:          

 

Se la trasfigurazione del Signore sul Tabor è stata un anticipo dell’apparizione visibile di Dio nella gloria futura e se gli apostoli furono giudicati degni di contemplarla con i loor occhi corporali, perché coloro che hanno purificato il loro cuore non dovrebbero contemplare con gli occhi dell’anima il preludio e il pegno dell’apparizione secondo lo spirito? Ma poiché il Figlio di Dio, nel suo incomparabile amore per gli uomini, non ha disdegnato di unire la sua ipostasi divina con la nostra natura, rivestendo un corpo animato e un'anima fornita di intelligenza, per apparire sulla terra e vivere con gli uomini (Bar 3,38), e dato che si è unito, nella sua incomparabile sovrabbondanza, alle stesse ipostasi umane, confondendosi con ciascuno dei fedeli attraverso la comunione del suo santo corpo, dato che diviene un solo corpo con noi, facendone un tempio della divinità... come potrebbe non illuminare coloro che degnamente comunicano con il raggio divino del suo corpo, che è in noi, illuminando l'anima allo stesso modo di come ha illuminato il corpo dei discepoli sul Tabor? Allora il corpo di Cristo, fonte della luce della grazia, pur non essendo unito al nostro corpo, ha illuminato dal di fuori quelli che lo avvicinavano degnamente inviando all'anima l'illuminazione attraverso gli occhi sensibili. Oggi, invece, dato che è confuso in noi e esiste in noi, a buon diritto illumina l'anima dall'interno [1].              

 


[1] Triadi I,3,38. In: M. Brunini, La preghiera del cuore nella spiritualità dell’oriente cristiano, 201-202.

 

5° argomentazione

L’ultima argomentazione è  relativa sempre alla conoscenza di Dio che per il cristiano si attua nella partecipazione alla vita sacramentale, nella pratica dei comandamenti e nella preghiera incessante.

Tale conoscenza però non è frutto dell’azione umana, ma è dono gratuito della Trinità.

La praktiké è propedeutica alla accoglienza della discesa del Padre, nel Figlio, per lo Spirito santo nel cuore dell’uomo.

L’incontro naturalmente non sopprime le differenze di natura tra il Creatore e la creatura.   

CONCLUSIONE

La dottrina di Palamas non solo confuta Barlaam, ma diviene progressivamente dottrina ufficiale della Chiesa ortodossa, approvata formalmente nel Concilio di Costantinopoli del 1351. 

Per gli esicasti è sempre stato evidente che la loro è esperienza di preghiera autentica e che i metodi psico-fisici, che sono comparsi nel periodo athonita, sono soltanto un possibile aiuto, peraltro  non adatto non solo a tutti gli oranti, ma neppure a tutti gli esicasti.

La controversia palamita è ciò che ha permesso un importante approfondimento teologico del cammino esicasta, che va ben oltre il respiro e il battito del cuore, non solo per la sua contemplazione, ma anche per la sua praktiké, cioè per il suo percorso ascetico.