INTRODUZIONE

 

Se c’è un anelito che palpita nel cuore di ogni uomo, a qualunque popolo appartenga, in qualunque tempo viva, di qualunque estrazione sociale sia, è di essere felice. E’ innato nell’animo umano infatti l’aspirazione a quella pienezza di gioia che non è legata a fattori esterni -sempre e comunque transeunti-, ma che affonda le sue radici nella stabilità del “per sempre”, che resta indipendentemente dal mutare delle situazioni, a volte favorevoli, a volte contrarie. Una sola è la via da percorrere per trovare la sorgente capace di dissetare questa sete di felicità che palpita in ciascun uomo ed è quella di cercare la risposta alle domande ultime: da dove proveniamo, dove siamo diretti, perchè e a che scopo vivere.

Se di tutti è anelare a trovare la Causa primaria e il Fine ultimo di ogni cosa, di fatto due sono le grandi modalità con cui l’uomo può porsi innanzi al problema: o lo affronta con una riflessione sistematica, razionale, consapevole e argomentata, oppure in maniera non-ragionata, non-critica, non completamente cosciente, legata all’istintività e alla reattività. 

Occuparsi dell’essere in quanto essere, riflettere sui “principi primi” della realtà di cui le altre scienze quali la matematica, la fisica si servono senza tematizzarli, in quanto presupposti dalla loro riflessione; occuparsi del perché ultimo delle cose e riflettere, cercare il senso di tutto e domandarsi se ha senso porsi tali domande è  fare metafisica.

 

  

DEFINIZIONE E OGGETTO DELLA METAFISICA

 

Il termine “metafisica” proviene dall’espressione greca “tà metà phisikà”, che significa letteralmente “le cose al di là della fisica”. Il primo ad usalo fu Andronico di Rodi, primo editore del corpus aristotelicus, per indicare i 14 libri di Aristotele che venivano dopo quelli di fisica, naturalmente della medesima edizione. In questo modo Andronico intendeva mettere in risalto il fatto che in quei testi venivano trattate tutte quelle realtà non sensibili che stanno a fondamento della realtà corporea –e stanno perciò al di là della fisica-.

Come ogni scienza, anche la metafisica ha un oggetto proprio che le conferisce unità intrinseca  e  che la differenzia da tutte le altre scienze.

Per quanto riguarda l’ “oggetto materiale”, cioè il contenuto della sua ricerca, a differenza delle altre scienze che si occupano di un settore specifico della realtà, la metafisica abbraccia la realtà tutta intera. Essa infatti studia tutto ciò che esiste, senza escludere nulla se non appunto “il nulla”, perché inesistente. Suo oggetto è perciò l’ “ente”, “ciò che è”. Tale ente è composto di due principi: 

  • l’essenza, che permette all’essere di essere ciò che è
  • l’essere, che lo fa esistere.

Ogni scienza si differenzia dalle altre anche per quello che viene indicato come “oggetto formale quod”, che è l’aspetto dell’oggetto che appunto si studia . Per quanto riguarda la metafisica, essa studia la realtà tutta intera in quanto è. Nell’opera “Metafisica”  Aristotele afferma che “l’oggetto formale quod della metafisica è l’ente in quanto ente”.

Ciò significa prendere in considerazione tre aspetti comuni a tutti gli enti:

  • i principi primi e più universali che costituiscono tutti gli enti, nessuno escluso
  • le proprietà più universali anch’esse comuni a tutti gli enti
  • le cause ultime o primarie, quelle cioè che hanno influsso su tutto ciò che esiste

Infine ogni scienza è caratterizzata da un “oggetto formale quo”, che consiste nei mezzi, nei metodi, negli strumenti di cui ogni scienza si avvale nella sua ricerca. Essendo la metafisica la scienza che si occupa di ciò che è al di là del sensibile, essa risulta avere come unico strumento di indagine la ragione umana.

 

 

LA METAFISICA NEL CORSO DEI SECOLI

 

Per individuare con precisione il contenuto della scienza in questione, abbiamo fatto riferimento alla definizione che di  che di essa dà il filosofo Aristotele nella sua opera “Metafisica”. E’ però opportuno ripercorrere, almeno a grandi linee, gli inizi della storia della filosofia per meglio comprendere come si è giunti a definire la metafisica e come, dopo Aristotele, essa si è sviluppata.

La domanda sulla Causa prima e il Fine ultimo di ogni cosa ha interrogato l’uomo da sempre, come già abbiamo avuto modo di affermare. 

 

Il mito

La prima modalità di risposta che l’uomo ha trovato è quella di tipo mitologico, cioè di un racconto che non esige un ragionamento, ma che rende presente il contenuto della narrazione stessa senza argomentarla. E’ una sorta di trasmissione della verità in maniera simbolica. Afferma Marcel Bravo: “Il mito cerca di dare una risposta, una spiegazione ad un avvenimento presente a partire da una causa primigenia. Non si deve pertanto cercare nel mito una verità di tipo scientifico o storico, ma il significato di ciò che si narra”. Anche Giovanni Reale sostiene che l’antecedente della cosmologia filosofica sia costituito dalle teogonie e cosmogonie mitico-poetiche, delle quali la “Teogonia” di Esiodo è prototipo paradigmatico, tuttavia tra le due vi pone un solco nettissimo. Dice infatti: 

Esse [le teogonie, ndr] procedono col mito, con la rappresentazione fantastica, con l’immaginazione poetica, con intuitive analogie suggerite dall’esperienza sensibile; pertanto restano al di qua del logos, ossia al di qua della spiegazione razionale. […] Del  resto si noti come nella Teogonia esiodea manchi proprio quel punto che qualifica la cosmologia filosofica, cioè il tentativo di individuare il principio imprincipiato, la fonte assoluta di tutto.

 

Talete e la nascita della filosofia

E’ con Talete infatti che alla rappresentazione della totalità del reale si affianca un metodo di spiegazione razionale. Filosofo della fine dell’VIII secolo a.C., fu il primo ad affermare l’esistenza di un principio unico causa, termine ultimo e permanente sostegno di tutte le cose.                         

Lo indicò con il termine physis, che significa realtà prima, originaria  e fondamentale. Burnet così la definisce: “ciò che è primario, fondamentale e persistente, in opposizione a ciò che è secondario, derivato e transitorio”. Tale principio primo fu da Talete  ritenuto essere l’acqua. Dietro di lui i Presocratici continuarono la riflessione sul’arché delle cose, individuandolo chi nell’apeiron (Anassimandro), chi nell’aria (Anassimene), chi nei numeri (scuola pitagorica), chi nel principio “convergente-divergente” (Eraclito), chi nell’essere (Parmenide), chi negli atomi (Leucippo e Democrito) ecc. 

 

Platone e la “seconda navigazione”

Filosofo ateniese del V secolo a.C., frequenta dapprima l’eracliteo Cratilo, per farsi poi discepolo, intorno ai venti anni, di Socrate. Alla morte di quest’ultimo, con alcuni socratici, frequenta Euclide e, in Italia, viene a contatto con i pitagorici Filolao ed Eurito. Tornato ad Atene fonda l’Accademia, che richiama giovani e uomini illustri in gran numero. Regge l’Accademia fino alla morte, avvenuta nel 347. I suoi scritti sono giunti a noi con completezza. In uno di essi, il “Fedone”, affronta il problema della generazione, della corruzione e dell’essere delle cose, puntando in particolare l’attenzione sulla causa che sta a loro fondamento. Polemizza contro i Fisici (cioè i presocratici), affermando che il loro metodo di indagine fondato sulle sensazioni non solo non chiarisce la conoscenza, ma, peggio, la oscura. A questo tipo di conoscenza – definita “prima navigazione” fatta con le vele dei sensi – Platone oppone un altro tipo di conoscenza, fondata sui logoi: sono i ragionamenti e i postulati le vele per la “seconda navigazione” ed è mediante essi che si deve arrivare a cogliere la verità delle cose. Questo nuovo metodo porta alla conquista della sfera del soprasensibile, cioè di quella causa consistente nelle realtà puramente intelligibili. La realtà sensibile perciò non è la vera causa, ma il mezzo attraverso il quale la vera causa si realizza. 

Sempre nel “Fedone” Platone mette in evidenza con chiarezza i tre punti focali della sua metafisica:

  • la teoria delle Idee: a ogni classe di realtà sensibili corrisponde un valore trascendente che la rappresenta nel suo stato di perfezione e su cui essa si modella. In questo modo nasce il concetto di “trascendente”, cioè di ciò che è in sé, indipendente nella sua essenza dalla conoscenza sensibile e sussistente al di là delle forme che può assumere nel mondo sensibile. E’ anche al di là dello spazio e del tempo.  Le idee hanno un ruolo essenziale nel processo della conoscenza: non sarebbe infatti possibile alcuna forma di conoscenza delle cose sensibili se noi non avessimo in noi stessi una sorta di metro di conoscenza preesistente che ci permette di paragonare la realtà sensibile all’idea trascendente di essa, sua forma perfetta, che noi vediamo, intuiamo, con un occhio interiore, con una mente pura, libera dalle sensazioni.
  • la teoria dei Principi primi: mentre nel “Fedone” e nella “Repubblica” Platone aveva visti il mondo nel suo aspetto fisico come una copia e un riflesso dell’ordine razionale delle idee, nella prima parte del “Filebo” cerca di individuare l’essenza propria e specifica di esso, al di là dell’ordine razionale che la rende conoscibile. Platone sostiene che non sono le idee la realtà ultima dell’essere, ma che le stesse idee sono scomponibili in due principi elementari. L’unità e la “diade indefinita”, principio questo chiamato anche “il grande e il piccolo”. Le prime e fondamentali forme dell’essere sono definite come quattro generi: limite, illimitato, causa, misto. 
  • la dottrina del Demiurgo: nel “Timeo” viene affrontato anche il problema della nascita e della formazione dell’universo, avvenuta per opera di una divinità intermedia chiamata appunto “demiurgo” (artigiano), il quale avrebbe forgiato il mondo guardando alle idee come a un modello.   Egli forma prima l’anima del mondo, poi il corpo del mondo  usando i quattro elementi tradizionali, cioè l’aria, l’acqua, la terra e il fuoco. L’ordinamento delle idee, nel suo riflettersi nel sensibile – sia nell’anima sia nel corpo - , assume la forma dell’ordinamento matematico; questa interpretazione in termini matematici del mondo avrà grande rilievo nel pensiero medievale e moderno.

 

Aristotele e la “filosofia prima” o metafisica

Punto di partenza di Aristotele è la serrata critica alle idee di Platone , da lui viste come un doppione eterno e perfetto della realtà; trascendenti a essa, non servono a spiegarne né la causa né il divenire. Per il filosofo macedone, la “forma” di qualsiasi realtà non è trascendente a essa, bensì immanente e presuppone non una generica materia, bensì una materia specifica già virtualmente predisposta a ricevere quella specifica forma e facente parte costitutiva di quel determinato essere che concorre a formare. L’essenza del sensibile però non si riduce alla sola realizzazione compiuta, ma implica anche la capacità di realizzarsi che mette capo all’atto pienamente realizzato. Questo complesso di materia e forma – o potenza e atto – costituisce la sostanza della realtà. Il regno dell’essere è una sorta di complesso organico di potenzialità e attualità, nel quale ogni potenza è in vista di un atto nel quale deve realizzarsi e ogni atto realizzato è potenziale rispetto a una ulteriore realizzazione. Questo processo non è però all’infinito, altrimenti la realtà cadrebbe nell’assurdo e nel caos. Per questo Aristotele postula al vertice della catena un atto e una forma che siano primi e supremi e da cui tutto il resto dipende. Questo “atto puro” muove l’universo non agendo, ma attraendolo: lo muove cioè solo perché è esso il suo fine e perchè è a esso che tutte le realtà parziali e sensibili tendono come a loro fine. Questo atto supremo è pensiero, perché il pensiero è la realizzazione più alta possibile nell’ordine intelligibile. Dunque Aristotele dà all’universo metafisico una unità organica e postula un processo di gradualità ascendente dalla realtà sensibile a quella intelligibile. I due mondi non sono divisi da un taglio netto; al contrario, la forma suprema dell’universo è identica per essenza  alle forme degli esseri sensibili: semplicemente è il punto di arrivo della loro catena perché libero da potenzialità e materia e per questo capace di dare significato finito e concluso al tutto.

 

Metafisica immanente e metafisica trascendente

Come abbiamo visto, la ricerca posta in termini razionali dell’arché delle cose sta alla base della nascita della filosofia occidentale. Non solo però la fonda: la  percorre dalle sue origini fino a oggi. La storia ha visto affacciarsi molte risposte, che però possono essere ricondotte fondamentalmente a due tipi di metafisica: quella immanente e quella trascendente.

Viene chiamata metafisica immanente quella che trova la risposta al fondamento di tutta quanta la realtà dentro l’universo nel quale viviamo. A essa possono essere ricondotte le scuole di pensiero che ritengono essere la natura la spiegazione ultima di tutto (dai presocratici ai panteisti medievali e rinascimentali fino alla new age contemporanea), come anche quelle che ravvisano nella materia la realtà ultima (dall’atomismo di Democrito e di Leucippo, all’epicureismo, ai materialisti del XVIII secolo, agli storico-dialettici e ai positivisti del XIX e XX secolo) e  quelle idealistiche che ravvisano a fondamento di tutto una realtà di tipo spirituale - idea o pensiero che sia - che evolve (Fiche, Schelling, Hgel, Gentile, Croce, ciascuno naturalmente con peculiarità proprie).

Accanto a questa modalità di risposta sta invece quella trascendente, la quale trova il Principio e il Fine di tutte le cose non dentro la realtà, ma fuori di essa o al di là di essa, con essa però in relazione. Tale relazione può essere di tipo partecipativo o di tipo proporzionale. 

I metafisici della partecipazione  affermano che esiste un mondo intelligibile, perfetto, immutabile, eterno a cui gli enti sensibili, che sono imperfetti, perituri e mutabili, appunto partecipano; questi ultimi cioè esistono nella misura in cui prendono parte al mondo dei primi. A questa metafisica possono essere fatte risalire le scuole platoniche, il medioplatonismo, il neoplatonismo, S. Agostino, le filosofie medievali di Avicenna, Tommaso, Bonaventura per citarne alcuni,  fino ad arrivare a Rosmini, a Brentano e alle correnti neotomiste come Gilson ad esempio.

Altri metafisici della trascendenza invece non concepiscono la presenza di un Essere Assoluto perfetto al quale gli enti partecipano in diverso modo e grado. Essi piuttosto ritengono esserci una proporzione tra la relazione che intercorre tra l’essenza e l’essere di Dio e la relazione che intercorre tra l’essenza e l’essere di ogni ente. 

 

 

PERCHE' LA METAFISICA OGGI

 

Il contesto socio-culturale nel quale viviamo oggi è fortemente improntato alla scienza e, soprattutto, alla tecnica. Esso dunque  tende a rispondere soprattutto alla domanda “a cosa serve” o, al più, “che cos’è”; lo spazio per quesiti che vanno in maggiore profondità tende perciò a ridursi. 

L’uomo però non è mutato, la sua domanda di senso e di pienezza di felicità permane, perché è costituiva di tutti gli uomini di tutti i tempi. 

Proprio per questa ragione la metafisica non passa, perché è di ciascun uomo che vive il bisogno di intraprendere il cammino di ricerca della verità sull’origine e il fine ultimo di se stesso e della realtà che lo circonda, bisogno che il contesto storico può aiutare a far emergere o può tentare di anestetizzare, ma mai soffocare completamente. Proprio per questa ragione l’uomo è consegnato alla sua libertà, libertà che gli fa scegliere se dare la vita per scontata o se impegnarsi –e in quale misura impegnarsi - nella ricerca, perché essa raggiunga una autentica pienezza di significato.

Naturalmente ciascuno si pone alla ricerca dalla Causa e del Fine ultimo con la sua identità personale, che è frutto anche del contesto culturale  nel quale vive, della formazione ricevuta, della particolare sensibilità che ogni periodo storico possiede. Per questo motivo la storia ha visto affacciarsi diverse modalità di ricerca, una molteplicità di approcci e di metodi di indagine. Per questi motivi perciò la metafisica resta scienza di ogni uomo di ogni tempo, chiamata ad aiutare ogni persona nel suo oggi a cercare il senso fondante della vita per trovare così la pienezza della felicità.

 

 

CONCLUSIONE

 

Se, come abbiamo più volte detto,  è di tutti anelare alla pienezza della felicità, se è di molti avere la forza e il coraggio di domandarsi dove è la sorgente della vera felicità e impegnarsi per cercarla –percorrendo, come si è detto nell’introduzione, il sentiero della metafisica “filosofica” o della metafisica “spontanea”-, questo non è tuttavia sufficiente per raggiungere la pienezza della gioia di cui anche Gesù parla nel Vangelo (cfr. Gv 15,11). 

Scoprire la Causa primaria e il Fine ultimo di ogni cosa  -dunque scoprire la Verità ultima di tutto- infatti chiede di vivere in maniera conforme alla Verità trovata, sintonizzando la scala dei valori esistenziali secondo il Valore assoluto che dà senso all’intera realtà. Non è sufficiente infatti la ricerca razionale e speculativa: è l’uomo nella sua totalità  a essere chiamato in gioco, la sua mente, il suo cuore, tutte le sue facoltà e tutte le dimensioni del suo vivere umano. 

Ancora, in una prospettiva cristiana la ricerca della Verità approda all’incontro con un Tu, il Tu di Dio, il quale è Amore, è relazione. Dunque trovare il senso della vita significa vivere una relazione amorosa con Dio, relazione che coinvolge tutto l’uomo; e siccome è dell’amore non chiudersi in se stesso, ma aprirsi agli altri, vivere in pienezza il senso della vita, la relazione con Dio, è riversare sui fratelli l’amore che da Dio riceviamo, instaurando con loro relazioni che siano un riflesso –pur sempre limitato, ma comunque reale- dell’amore trinitario di Dio.                     

Questo è il frutto maturo della metafisica, scienza che considera Dio come Causa e Fine di tutto e che cerca di conoscere ogni cosa in Lui, per conoscerla come Lui la conosce, nella misura in cui, naturalmente, questo è possibile alla ragione umana.