Scrivendo a una giovane suora il 23 marzo 1938, a proposito dell’amato maestro Husserl, Edith Stein disse: “Non mi è mai piaciuto pensare che la misericordia di Dio si fermi ai confini della Chiesa visibile. Dio è la verità. Chi cerca la verità cerca Dio, che lo sappia o no”.
Questa frase, divenuta a ragione celeberrima, vuole essere lo slogan di questa sezione del sito che vogliamo dedicare alla ricerca di tutte quelle scintille di verità che sono partecipazione alla Verità Assoluta, Dio.
In realtà Edith ha potuto fare una simile affermazione perchè ella per prima ha percorso il sentiero della ricerca di Dio passando attraverso la pura e scarnificante ricerca intellettuale.
Il suo percorso esistenziale è lo scritto più eloquente, le sue opere una verbalizzazione della sua ricerca interiore.
Si sa che fondamentale fu per lei la lettura della “Vita” di S. Teresa d’Avila; della mistica spagnola commentò “Il Castello interiore”, con un taglio assolutamente originale, di matrice fenomenologica.
Il volume “Nel Castello dell’anima -pagine spirituali di Edith Stein” (ed OCD 2004) presenta una interessantissima introduzione di Cristiana Drobner. Nel paragrafo intitolato “I due Castelli. La coscienza laica e credente” ella scrive:
Come si entra in questo Castello? Teresa di Gesù è esplicita e nitida: “La preghiera è la porta, per la quale si entra in questo castello” (...)
La genialità di Edith Stein va ascritta alla sua coscienza laica perfettamente strutturata e appare perciò sovrana nel secolo XX, quando afferma che per Teresa di Gesù era impossibile porsi l’interrogativo se la costruzione dell’anima avesse un senso anche a prescindere dall’inabitazione di Dio e se, forse, esistesse anche un’altra porta oltre a quella della preghiera.
Edith Stein infatti non è entrata nella porta del Castello attraverso la porta della preghiera, né ebraica né cristiana, ma per una porta altra. Per questa ragione la sua esperienza è determinante nel nostro attuale vivere, ricordando però che ella rimase aperta al pathos dell’esperire e della ricerca: Edith Stein riconobbe nei pensieri del cuore la vita originaria dell’anima, la fonte della vita personale, qualcosa che sale dall’interno e viene percepito come dotato di valore. Tutti possiedono questa vita interiore , anche se non si raccolgono su di sé e non vi prestano attenzione o se non sono sulla via dell’incontro con Dio. (...)
La strada battuta da Edith Stein per entrare nel “Castello” fu concretamente laica; per questo si palesa come la strada, come l’accesso possibile a chiunque oggi, con l’irruzione di Dio quando Egli vorrà e come vorrà.
Quello di Edith fu il “Castello della coscienza”, fenomenologicamente fondato, in cui la religione “dell’evidenza” (cioè il fatto che Dio si rivela alla Persona e questa non può non “sentirne” l’accadimento; approfondiremo poi in altri articoli il significato di questo “sentire” e come da Edith viene inteso) poggia però sul più assoluto rigore nella ricerca, che non si arresta di fronte a verità parziali, non accondiscende alle mezze misure, di ogni cosa cerca l’intima struttura, che ne palesa l’essenza, senza sbilanciamento emotivo alcuno.
A distanza di quasi un secolo l’attualità di questa modalità di ricerca non ha perso di mordente.
Si dice spesso, forse non esenti da una certa qual retorica, che la nostra cultura contemporanea è da un lato iperemotivizzata, galvanizzata dalla ricerca di continue e sempre più eccitanti emozioni, e dall’altra presenta un pensiero assai debole, in cui il relativo è stato assunto a legge assoluta (in interna contraddizione, evidentemente).
Difficile negare una simile analisi, pur tuttavia l’uomo è l’uomo di sempre, la sua struttura interiore non è mutata, la sete di ricerca di senso e di verità gli è sempre e comunque costitutiva.
Il sentiero della ricerca della ragionevolezza della fede è perciò sempre attuale.
La sfida è piuttosto quella di una veridicizzazione di tutte le fibre dell’ essere e dell’Io, una consapevole conoscenza del proprio essere umano, in tutti i suoi aspetti, esaminati e descritti, perchè ciascuno si possa comprendere come “tempio di Dio” (7° Stanza del Castello interiore di Teresa d’Avila).
Una questione antropologica, dunque.