Nella parte alta del disegno vi è di nuovo un grande cuore. E’ il medesimo che abbiamo incontrato nel 1° disegno. E’ il cuore di Gesù. E’ un cuore sovrastato da una fiamma, che indica il grande ardore e la grande passione d’amore di Gesù: Egli è Amore e altro non può fare che amare, sempre, in qualunque circostanza, a qualunque prezzo. Questo il significato della croce che esce dalle fiamme e della corona di spine che circonda il cuore. Sono chiari riferimenti alla Passione di Gesù, a ribadire, ancora una volta, che quella è la misura dell’amore: come è scritto nel Vangelo di Giovanni, «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (15,13). Sia la croce sia la corona di spine sono d’oro, ad indicare la preziosità della Pasqua di Gesù. D’oro è anche la catena che esce dalle ardenti fiamme del cuore di Gesù e che circonda l’intero disegno, racchiudendo al suo interno ciò che spiegheremo poi. Anche questa è una rappresentazione dell’amore di Gesù, che circonda e protegge. E’ un amore forte e sicuro come una catena, prezioso come l’oro.

 

 

Sotto il Cuore di Gesù sono presenti sette colombe. Sono le medesime già rappresentate nel primo cuore. Come abbiamo precedentemente indicato, il numero 7 ha valenza simbolica e sta per “infinito”, senza limite. Dunque tutte le anime sono chiamate a compiere questo itinerario spirituale. Gesù attrae tutti a Sé, come leggiamo nel vangelo di Giovanni:«E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32). Ma l’attrazione non è costrizione, la persona  è sempre consegnata alla sua sovrana libertà.

Nel primo Cuore le sette colombe avevano una catena al collo: sei di esse erano legate alla terra, una aveva infranto la catena e volava verso il Cuore di Gesù. Anche qui le sette colombe sono legate alla catena, che però dall’altro capo è nella ferita del Cuore di Gesù. Due sono le considerazioni da fare. La prima è sul permanere della catena. L’uomo non basta a se stesso, non trova in sé la pienezza del suo essere e il significato del suo esistere. La tentazione di Narciso è sempre in agguato: innamorarsi della propria immagine, arrivando a porre il proprio io al centro del vivere. Si agisce allora per la gratificazione dell’ego, nell’ambito del piacere e del potere, sacrificando a sé cose e persone; addirittura si può arrivare a pretendere di essere al centro del vivere dell’altro. Quando ciò non accade, arriva la depressione, si mettono in atto i più stravaganti comportamenti pur di tornare al centro della scena, ansiosi che gli altri ci vedano, ci guardino, ci applaudano. E’ terribile, eppure accade, con frequenza. 

Creato a immagine della Trinità, l’uomo è fatto per amare ed essere amato, ma in una dinamica comunionale, esattamente come è tra il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo: tutto gratuitamente ricevono l’uno dall’altro, tutto gratuitamente si donano reciprocamente. Questo è l’amore maturo a cui ogni persona è chiamata. Perché ciò possa compiersi, è indispensabile andare alla “scuola di Dio”. Questo il senso delle catene. Se nel primo Cuore esse legavano la colomba alla terra, ora la legano a Gesù. La catena esce dal Cuore perché l’amore di Gesù raggiunge la colomba: è la dinamica di Gesù che attira a Sé. La catena entra nel Cuore di Gesù: è la scelta della persona che liberamente accoglie l’invito e si mette alla scuola di Gesù per imparare ad amare. E’ solo alla scuola di Dio che il cuore umano trova soddisfazione al suo naturale e insopprimibile bisogno di amore: è questione non solo di intensità di amore, ma soprattutto di qualità d’amore. Alla scuola di Dio significa in una relazione amorosa personale con la Trinità, sempre coniugata alla relazione amorosa personale con i fratelli e le sorelle. Non solo Dio, non solo gli altri: sempre entrambi, nella medesimo e unico amore. «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore (…) Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi», leggiamo nel Vangelo di Giovanni (15,9.11-12). Per questo nel disegno le colombe hanno nel becco dei piccoli cuori, identici al grande Cuore di Gesù, perché uno e medesimo è l’Amore. 

 

L’Amore, nella Trinità, è lo Spirito Santo, che nel disegno è rappresentato dalle molteplici fiammelle: i doni dello Spirito, le infinte declinazioni dell’amore.

L’Amore irraggia. Lo aveva detto Gesù di Sé: «Di nuovo Gesù parlò loro e disse: Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita», leggiamo sempre nel vangelo di Giovanni (8,12). Ma chi è legato con la catena d’oro al Cuore di Gesù partecipa a quel medesimo Amore luminoso: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» leggiamo nel vangelo di Matteo (5, 14-16).

Ecco, tutto questo è il frutto dell’invito rivoltoci quando abbiamo ascoltato la formazione relativa al 1° Cuore: vivere in continua unione con Gesù. 

 

 

Fuori dalla grande catena dorata ci sono sette piccoli cespugli, o corone di spine. Sono una per ciascuna colomba. Nel disegno del 1° Cuore le colombe erano legate alla terra, una creazione che appariva fiorita e ridente. Ciò è certamente vero, come anche riconosce la Scrittura. Nel libro della Genesi infatti, al termine di ciascuno dei primi cinque giorni della creazione, si legge: «Dio vide che era cosa buona» (Gen. 1,10.12.18.21.25). Se questa è la creazione uscita dalle mani di Dio, l’esperienza che noi facciamo di essa è solo “parzialmente buona”: certamente vediamo il suo splendore e gustiamo la sua bontà, ma anche facciamo esperienza di ben altro, non positivo. Nella Lettera ai Romani S. Paolo dà ragione del perché: «La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (8,20-22). Si apre qui l’enorme questione di ciò che la Tradizione cattolica ha chiamato “peccato delle origini”. Non lo approfondiamo naturalmente in questa sede, ci limitiamo solo a dire che esso ha lasciato il suo segno non solo nell’uomo, ma in tutta la creazione. Un marchio non indelebile, ma comunque reale e di cui tutti facciamo quotidiana esperienza. Fuori di noi, la terra è madre e pure matrigna; dentro di noi, come scrive sempre S. Paolo ai Romani: «Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c'è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (7,18-19). Le relazioni diventano difficili e faticose, proprio perché non sono più solo trinitarie, sono sporcate continuamente dal nostro peccato e dalla nostra miseria. 

La domanda che il disegno pone è: se la colomba si lega con la catena al Cuore di Gesù, fa ancora esperienza di quella sua corona spinata, che peraltro è fuori dalla grande catena dorata? Se si è realisti, la risposta non può essere che affermativa. Perché questo accade? La risposta la troviamo in S. Teresa. Il riferimento a lei non è casuale, ma doppiamente motivato. Innanzitutto ella è non solo Dottore della Chiesa, ma proclamata da papa Paolo VI “madre degli spirituali”; ciò significa che se vogliamo compiere un autentico cammino spirituale non possiamo non guardare anche a lei; in secondo luogo Gesù l’ha donata a Madre Serafina come Maestra, quindi la sua dottrina è per noi essenziale e imprescindibile, proprio nel nostro cammino di adoratrici. Ebbene, S. Teresa scrive un trattato spirituale essenziale che porta il titolo di “Castello interiore”. Si parla di stanze, che l’anima attraversa nel suo camminare verso Dio, che inabita la persona. Nella prima stanza l’anima è chiamata a lasciare l’esteriorità per volgersi verso l’interiorità, abbandonando la scelta di vivere “nel peccato mortale”: questo il primo significato del cespuglio che la colomba lascia fuori dalla grande catena. Nella quinta stanza però Teresa dice che anche l’anima già avanzata nella vita spirituale può tornare a peccare: questo accade per la debolezza umana, che permane anche quando si vive nell’unione trasformante con Dio. Quale la differenza allora tra la prima e la quinta stanza? Che nella quinta il peccato è “puntuale”, mentre ciò che si abbandona nella prima è l’ “habitus”, cioè l’abitudine a peccare, la scelta di vivere in alleanza col male. Tornando al disegno del Cuore, il cespuglio è fuori perché la colomba è già entrata nella 1° stanza e l’esperienza di peccato che continua a fare è perché è ancora una fragile creatura che attende la pienezza della vita redenta, che non è sulla terra.

 

2° Cuore
Il Cammino dei Cuori
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