Vladimir Alekseevic Troickij –il futuro Vescovo Ilarion- nasce nella famiglia di un prete del governatorato di Tula il 13 settembre 1886. A cinque anni sa già leggere e scrivere e canta nel coro della parrocchia. A Tula compie la sua formazione, frequentando dapprima il liceo e poi il seminario e ottenendo ottimi risultati, nel 1906 ottiene, come migliore allievo, una borsa di studio statale all’Accademia teologica di Mosca, completando così la sua formazione.

Se a Tula l’ambiente è tranquillo, a Mosca gli echi della rivoluzione del 1905 risuonano anche tra le mura dell’Accademia e pongono al giovane studente importanti interrogativi filosofici  e morali: perché gli umori rivoluzionari affascinano così ampi strati della intelligencija russa? Perché la società russa perde sempre più il suo legame con la Chiesa e con l’antica tradizione ortodossa? Come aiutare la gente a sfuggire al materialismo? In realtà la società russa, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, attraversava un complesso travaglio caratterizzato da un’ansia di rinnovamento culturale e spirituale; molti esponenti della cultura russa, dopo aver ricevuto una educazione cristiana, passavano a ingrossare le fila del pensiero ateo a causa del soffocante clima si asservimento dell’ambiente ecclesiale, peraltro non molto distante dalla piaggeria che caratterizzava tutta la vita russa: aderire ai moti rivoluzionari sembrava essere l’unica soluzione ai problemi della società. Gli anni 1905-1917 sono infatti un periodo di fermento sia all’interno della società come della Chiesa, consapevole quest’ultima della necessità di riforme in molte sfere della sua vita (forte era l’attesa di un Concilio che potesse deliberarle e tradurle in atto).

Durante il soggiorno moscovita a Vladimir viene affidata la responsabilità editoriale della Fraternità per la pastorale e l’istruzione religiosa presso l’Accademia: si occupa della pubblicazione de della diffusione di parecchi opuscoli a contenuto religioso per i laici e fa volontariato presso un orfanatrofio.

Nel 1908, come premio per gli ottimi risultati conseguiti negli studi, partecipa a un pellegrinaggio nell’Oriente cristiano (Serbia, Bulgaria, Turchia e Grecia); rimane assai colpito dalla visita al Monte Athos.

Nel 1910 termina gli studi all’Accademia teologica di Mosca, risultando il miglior studente degli ultimi cinquant’anni; ottiene la cattedra di Sacra Scrittura e Nuovo Testamento. Prosegue ancora gli studi e nel 1916 gli viene conferito il magistero in teologia. 

Nonostante i grandi successi ottenuti, non viene sfiorato sa pensieri di orgoglio o di vanagloria; umilmente piuttosto si mette in cerca della propria vocazione.

Attratto dalla vita monastica tutta dedita alla preghiera e agli studi, emette i voti nell’eremo del Paraclito, poco distante dalla Lavra della Trinità di San Sergio, prendendo il nome di Ilarion. Dopo soli due mesi, gli viene affidato l’incarico amministrativo che più scongiurava: ispettore dell’Accademia. La sua mancanza di esperienza e l’impossibilità di dedicarsi all’attività scientifica per mancanza di tempo –riceve infatti fino a 50 persone al giorno- è per lui motivo di grande sofferenza. 

Un’altra sofferenza si affaccia però nella vita non solo di Ilarion ma dell’intera Russia: lo scoppio della prima guerra mondiale, che l’archimandrita legge come occasione per il popolo russo di purificarsi, abbandonando la cultura secolari sta abbracciata, e tornando alla Chiesa, alla sua Verità e alla sua Tradizione. Un ruolo particolare Ilarion vede riservato al monachesimo russo, che a motivo del carisma dell’ascesi e della preghiera sono sempre stati ancora di salvezza per l’intero popolo. Molti i dibattiti organizzati, ad alcuni dei quali Ilarion prende parte esprimendosi da un lato contro un falso concetto di democratizzazione della Chiesa, ma anche contro la sua “clericalizzazione”; sostiene invece la necessità di riforme sotto la guida sicura del patriarca, al fine di rinsaldare i rapporti con il mondo della cultura e del laicato, permettendo così alla Chiesa di aprirsi alla società. 

L’archimandrita partecipa attivamente ai lavori del Concilio locale della Chiesa ortodossa russa. Uno dei primi problemi affrontati è proprio la restaurazione del patriarcato, con l’attenzione però di lasciare al Concilio locale la suprema autorità legislativa, amministrativa e giudiziaria. Il 5 novembre 1917 viene eletto il nuovo primate, il metropolita Tichon  Bellavin… e questo mentre a Mosca risuonano già forti i cannoneggiamenti e il potere dei bolscevichi è ormai alle porte. La rivoluzione interrompe definitivamente i lavori del Concilio nel settembre 1918.

Il 10 marzo 1919 Ilarion viene arrestato la prima volta e rinchiuso per quattro mesi nella prigione di Butyrki. Rimesso poi in libertà, Tichon lo chiama a collaborare con lui per la difesa della vita della Chiesa nel nuovo contesto politico. Il 24 maggio 1920 viene nominato vescovo di Vareja, ausiliare della diocesi di Mosca. Come da suo carattere, si dedica corpo e anima al suo nuovo ministero, motivato ancor più dalla situazione in cui versa la Chiesa sotto il regime bolscevico. E’ per lui un tempo di servizio umile e concreto alla gente, non rassegnandosi però a interrompere i suoi studi. La sua attività però non è affatto gradita al potere, tant’è che nel 1922 lo raggiunge un nuovo arresto. L’accusa è quella di aiutare fattivamente il patriarca, di ricevere troppi visitatori e di organizzare dibattiti contro il regime. Il motivo autentico è però un altro: il potere sta scatenando una offensiva globale nei confronti della Chiesa e sta organizzando lo scisma degli “innovatori”, che avrebbero dovuto minare l’unità della Chiesa dall’interno. Il 19 marzo infatti viene emanata una lettera segreta di Lenin sulla persecuzione al clero; il 26 aprile si apre un solenne processo pubblico contro sacerdoti e laici “antisovietici”, che si conclude con un numero altissimo di condanne a morte; il 6 maggio viene arrestato Tichon e subito dopo gli “innovatori”, preso possesso della cancelleria patriarcale, fondano la cosiddetta “Chiesa viva”, connivente con il regime. L’arresto di Ilarion si inscrive perciò in questa tragica situazione. Il collegio della GPU emette la sentenza nel giugno 1922 e condanna il vescovo alla deportazione ad Archangel’sk per un anno, con diritto di abitare in città e proibizione di celebrare nelle Chiese. Ilarion trascorre questo anno immerso negli studi, raggiunto però dalle allarmanti notizie provenienti dalla capitale circa lo scisma degli innovatori e il suo diffondersi presso coloro che desideravano sinceramente un rinnovamento ecclesiale, ma incapaci di rendersi conto che la radice degli innovatori era “statale” e non certo animata dall’amore per Cristo e la sua Chiesa.

Il 5 luglio 1923 Ilarion fa ritorno a Mosca e la sera stessa celebra i Vespri nel monastero dell’Incontro, dopo aver compiuto il rito di consacrazione (in questa chiesa infatti avevano celebrato per alcuni mesi gli innovatori). Rivolgendosi al clero presente, invita coloro che avevano aderito allo scisma di compiere un atto di pubblica penitenza, altrimenti non sarebbe stato ammesso alla liturgia. Il 6 luglio, festa dell’icona della Madre di Dio di Vladimir, celebra la liturgia sempre nel monastero dell’Inconto il patriarca Tichon, anch’egli fresco di scarcerazione; l’omelia, tenuta da Ilarion, è memorabile: parla della situazione della Chiesa, dello scisma degli innovatori e dei loro sedicenti vescovi. La reazione dei fedeli è forte: d’impeto, tra le lacrime, riconoscono Tichon come unico patriarca. La reazione degli innovatori non tarda: il 9 luglio Vladimir Krasnickij, uno dei capi degli innovatori, scrive al GPU una forte denuncia contro Ilarion, che viene nuovamente arrestato il 15  novembre 1923. Tra luglio e novembre il vescovo partecipa a numerosi dibattiti politico-religiosi organizzati dalle autorità; capace di ribaltare il solito copione del regime, sa trasformare quegli incontri in una testimonianza di umanità, di verità e di fede conquistando non pochi ascoltatori. La commissione del GPU per le deportazioni amministrative il 7 dicembre  lo condanna a tre anni di reclusione alle isole Solovki. Nel gennaio 1924 giunge al campo di smistamento Popov Ostrov: il suo arrivo coincide con la morte di Lenin! Alle isole Solovki giunge però solo a giugno, essendo stato necessario aspettare il disgelo e la riapertura della navigazione. Gli viene affidata la mansione di riparare le reti presso l’azienda ittica all’eremo di Filimonovo; lavora anche come guardiano e come guardiaboschi. Il vescovo rimane impresso nella memoria di tutti come un bell’uomo, alto di statura, con una folta capigliatura fulva, di povertà e umiltà autenticamente monastiche, profondamente semplice. Il suo amore per la gente, l’attenzione e l’interesse che dimostra con ognuno sono stupefacenti; guarda tutto con gli occhi dello spirito e da ogni cosa sa trarre vantaggi spirituali.

All’inizio del luglio 1925, inaspettatamente, Ilarion viene trasferito nel carcere di Jaroslav’. E’ una manovra politica: il regime sta preparando un nuovo scisma e spera di conquistare Ilarion. Gli viene offerta una cella singola, ben riscaldata, vitto sufficiente, la possibilità di dedicarsi agli studi… a patto che Ilarion aiutasse a giungere a un mutuo riconoscimento  tra Stato e Chiesa. Ilarion non si piega a collaborare col GPU, nemmeno quando gli viene proposta la libertà e la cattedra episcopale di Mosca… in cambio dell’appoggio allo Stato. Le ritorsioni non si fanno certo attendere: il 26 febbraio Ilarion firma la sua dichiarazione, viene trasferito in una cella comune e gli viene notificato il ritorno alle Solovki. Fino a pochi giorni prima di Pasqua rimane nel lager di transito di Kem’, ove ha la possibilità di celebrare la liturgia pasquale con il vescovo Nektarij e padre Cechranov, essendoci a Kem’ un panificio. 

Con il disgelo Ilarion arriva alle Solovki, ove apprende che il “Concilio dei vescovi delle Solovki” – cioè l’insieme degli ecclesiastici prigionieri alle Solovki, che agivano comunionalmente sotto la guida dell’arcivescovo Evgenij Zernov – avevano scritto una dichiarazione indirizzata al Governo nella quale definivano la posizione della Chiesa all’interno dello Stato sovietico escludendo ogni possibilità di ingerenza dello Stato in campo spirituale e ogni possibilità di compromesso della Chiesa con i bolscevichi. Ilarion approva immediatamente questo “Memorandum”.

Allo scadere dei tre anni, Ilarion viene di nuovo trasferito sulla terraferma, nel lager di Kem’. Una nuova ondata di repressione è però messa in atto dal Governo, di dimensioni senza precedenti, mirante a estromettere in pochissimo tempo tutta la gerarchia episcopale dalla vita ecclesiale.

Il 19 novembre 1926 il Collegio della GPU si riunisce in seduta speciale e condanna Ilarion ad altri tre anni di reclusione alle Solovki con l’accusa di “aver rivelato segreti di Stato”. 

Tornato sulle isole, ha modo di intensificare i rapporti con sacerdoti cattolici arrivati nel lager nell’ottobre 1926; in particolare stringe amicizia con Leonid Fedorov, esarca dei cattolici bizantini, di cuimil clero ortodosso apprezzava la statura culturale e spirituale. Vengono organizzate riunioni nelle camere del lager ove si tengono conferenze di alta teologia e interessanti dibattiti ecumenici, che portano come frutto un forte avvicinamento fra clero ortodosso e clero cattolico.

Il 14 ottobre 1929 il Collegio della GPU si raduna in una nuova seduta speciale: per Ilarion infatti sta per scadere la condanna, che però viene prolungata ad altri tre anni di confino in Kazachstan. Per arrivare fin là, il vescovo deve attraversare tutto il paese, facendo tappa nelle varie prigioni di transito. Parte nel dicembre 1929, avendo come meta la prigione di Leningrado. Qui si ammala di tifo petecchiale e viene perciò trasferito nell’infermeria del carcere. Il decorso della malattia è grave e Ilarion ne è consapevole. Il 28 dicembre riesce a superare una forte crisi. Il medico si china su di lui per dirglielo, ma Ilarion risponde: “Che bello! Adesso siamo lontani da…”. Sono le sue ultime parole.

Il metropolita Serafim della diocesi di Leningrado riesce a ottenere le spoglie di ilarion che, rivestite di paramenti bianchi, vengono portati nel monastero di Novodevic’i, ove viene celebrato il funerale e ivi viene sepolto. Quando la cerimonia sta per finire, improvvisamente le campane cominciano a suonare a festa, con solennità, come il mattino di Pasqua!

Ilarion viene canonizzato nell’agosto 2000 dal Concilio dei vescovi della Chiesa ortodossa russa.