La Lombardia del 1800

PANORAMA DI MONZA Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” Milano 

 

Grande veduta della città di Monza così come si presentava alla fine del XIX secolo. 

Xilografia da disegno di autore anonimo.  Tratta da: “Le Cento Città d’Italia”, Società Editrice Sonzogno, Milano, 1891 Dimensioni dell’originale: 110 x 256 mm 

L’ODIERNA LOMBARDIA

AI TEMPI DI MADRE SERAFINA DELLA CROCE

Dopo aver analizzato la situazione italiana, ancora accompagnati dai fatti biografici più salienti della vita di Madre Serafina, focalizziamo la nostra attenzione sulla situazione in cui versava l’odierna Lombardia ai tempi di Ancilla Ghezzi.

Al tempo della sua infanzia, la nostra città di Monza e l’intero territorio lombardo vissero momenti travagliati: furono anni di passaggio dalla dominazione francese a quella austriaca.

Infatti, dopo la breve parentesi della Repubblica Italiana (1802-1805), un'entità politico-amministrativa strettamente dipendente dalla Repubblica francese, il 17 marzo 1805 Napoleone proclamò il Regno d’Italia e, poco più di un mese dopo, il 26 maggio si autoincoronò Re, nel vero senso della parola: come tutti sappiamo, quel giorno nella cattedrale di Milano, il Bonaparte si pose sul capo la nostra corona ferrea, pronunciando la celebre frase: “Dio me l’ha data, guai a chi me la tocca!”.  È curioso sottolineare che Napoleone fu l’ultimo sovrano nella storia a essere incoronato (in questo caso a incoronarsi!) con il diadema monzese.

Bisogna però riconoscere che Napoleone, pur tenendosi stretta la corona, affidò il governo effettivo del Regno a Eugenio Beauhanais, figlio che sua moglie Giuseppina aveva avuto da un precedente matrimonio.

L’assetto geografico del nuovo Regno occupava tutta la parte orientale della pianura padana a partire dal Ticino, l’attuale Friuli Venezia Giulia, gran parte dell’Emilia Romagna fino ad alcuni territori della Toscana al di là degli appennini, e, per un breve periodo, arrivò a comprendere anche l’Istria e la Dalmazia.

Ancilla, dunque, nacque in pieno dominio francese (1808) e visse i primi anni di vita come suddito del grande impero napoleonico, che si estendeva per gran parte dell’Europa centrale.

In concomitanza con la caduta del generale francese, però, il 1814 segnò la fine del Regno d’Italia e della dominazione francese nella nostra penisola; Ancilla ha sei anni.

In questi anni la Lombardia vide una significativa ripresa dell’agricoltura, in particolare nella bassa padana e ebbe inizio lo sviluppo delle prime industrie tessili nei pressi dei più grandi centri urbani; la città di Monza e il circondario ne furono un esempio. Non a caso Ancilla nel 1830 sarà assunta come operaia alla Filanda Corti.[1]

Nel contempo, però, la situazione nella vicina Milano era molto tesa: il Senato così come la città era divisa tra il “partito austriacante", sostenuto da parte della nobiltà e dall'alto clero, che auspicava il ritorno all’Ancien regime e il “partito francese", sostenuto dall’esercito ancora fedele agli ideali e alle politiche del Bonaparte. 

A tal proposito, basti pensare che in quei giorni il malcontento portò la folla a irrompere in una seduta del Senato e a uccidere il ministro Prina, ex ministro delle finanze del Regno d’Italia e fedele sostenitore del Bonaparte.

L’anno dopo, per fortuna, la situazione sembrò placarsi, seppur apparentemente: in Europa si aprì la fase della Restaurazione, che vide il ripristino del potere assoluto delle monarchie per diritto divino e dei retaggi politici e sociali dell’Ancien regime: il Congresso di Vienna riportò infatti la carta geografica dell’Europa, secondo i principi di legittimità e di equilibrio, indietro di almeno venticinque anni.

In tale cornice la Lombardia venne unita al Veneto nel regno Lombardo-Veneto, tornando sotto l’influenza austriaca.

È significativo sottolineare, soprattutto in riferimento alla storia della nostra città, che la Corona Ferrea fu mantenuta dagli Asburgo come insegna del nuovo Regno.

Il territorio milanese in questi anni, fu segnato da un intreccio di accentramento, autoritarismo e amministrazione, pur permanendo un pesante carico fiscale. 

Nel neo regno Lombardo-Veneto venne introdotto il codice penale austriaco, nacque un nuovo codice civile, fu dato un forte impulso alla realizzazione di opere pubbliche e infrastrutture e non da ultimo, ci fu un miglioramento della pubblica istruzione.

Inoltre la religione cattolica venne dichiarata religione ufficiale dello Stato, pur riconoscendo la libertà di culto per le minoranze.  Bisogna però sottolineare che a Milano il cattolicesimo, era reduce delle riforme di Giuseppe II di fine Settecento, che avevano portato alla soppressione di molti conventi e monasteri nel tentativo di incamerare i beni della chiesa nelle casse statali dell'allora Ducato di Milano. 

La città, inoltre, in questi anni iniziò a assumere un ruolo centrale nello scenario culturale europeo, con personaggi di spicco quali Silvio Pellico e Giovanni Berchet, nonostante le loro idee liberali e romantiche malviste dal regime austriaco, che arrivò a sopprimerne talune pubblicazioni.

Sulla base di questo operato il consenso nei confronti delle autorità asburgiche nel milanese cominciò a vacillare: la solida efficienza amministrativa stava cedendo il passo a una capillare e ossessiva vigilanza; inevitabilmente ciò suscito malcontento tra il popolo.

I moti liberali del 1848, segnarono l’apice di questo malcontento: ampi settori della popolazione sia dei grandi e piccoli centri urbani che delle aree rurali, si prefigurarono l’obiettivo di porre fine alla dominazione austriaca nell’area del lombardo-veneto.

Questo avvenne a un anno dal primo tentativo di esperienza monastica di Ancilla con tre compagne in un piccolo appartamento preso in affitto al Carrobiolo.[2]

A Milano, dopo il cosiddetto “sciopero” del fumo, ebbero infatti luogo le celebri “Cinque Giornate”: la popolazione dopo cinque giorni di scontri, il 22 marzo riuscì a ottenere il controllo della città, costringendo il maresciallo Radetzky a ritirarsi con le truppe austriache.

Indubbiamente, questi accadimenti, insieme a quelli veneti, ebbero una forte eco in Piemonte, portando il re Carlo Alberto di Savoia a dichiarare guerra all’Austria nel marzo del 1848; fu l’inizio delle Guerre d’Indipendenza, che occuparono lo scenario italiano per ben diciotto anni, fino al 1866.[3]

Questi anni furono anche segnati da un forte incremento demografico: con oltre cinque milioni di abitanti nel 1857, il Regno Lombardo-Veneto è il secondo paese della penisola italiana per popolazione (dopo il Regno delle Due Sicilie), con un alto tasso di crescita delle nascite in Lombardia. È anche l’anno in cui Ancilla Ghezzi, con il placet di Papa Pio IX, il 29 settembre fa la sua professione monastica, prendendo il nome di Maria Serafina della Croce.

Tornando alle vicende storiche, gli austriaci riuscirono a mantenere nel Lombardo-Veneto lo stato d’assedio fino al 1854, inasprendo anche il regime fiscale, ma dopo continui scontri per il controllo territoriale, al termine della  Seconda guerra di indipendenza nel 1859, culminata nella Battaglia di Solferino e San Martino (nei pressi del lago di Garda), la Lombardia venne annessa al Regno di Sardegna.

Questo avvenimento fu uno dei primi passi verso l’unificazione della nostra penisola, che avverrà ufficialmente con la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861. 

Nello stesso anno, anche in Lombardia, ebbero luogo le prime elezioni politiche dell’Italia unita, seppur il diritto di voto fosse concesso a una percentuale esigua della popolazione: solo i cittadini maschi aventi almeno 25 anni, che sapessero leggere e scrivere e pagassero almeno 40 lire di tasse annue.[4]

Il 1861 fu un anno importante, non solo per la nostra storia nazionale, ma anche per la vita di Madre Serafina: nello stesso anno, infatti, Papa Pio IX firmò il Decreto per l’erezione canonica del monastero di Monza (la prima comunità di Sacramentine, a partire dal 24 settembre 1855, andò a occupare gli ambienti di via Santa Maddalena, riscattando la chiesa di via Italia, annessa al convento), la clausura papale e la professione delle novizie.

Intanto, negli anni del processo di unificazione, sul piano dell’economia, in area padana sorsero le prime aziende agricole e avvennero numerose bonifiche per convertire le zone paludose alla coltivazione del riso. Ebbe anche un particolare incremento la coltivazione del gelso, con l’allevamento dei bachi da seta, che diede il via a importanti rapporti commerciali con Francia e Gran Bretagna.

Il neo-nato Regno d’Italia, però, continuò a perpetuare la politica anticlericale del Regno di Sardegna, emanando il 7 luglio 1866 la “legge eversiva della proprietà ecclesiastica”. Nello stesso anno, infatti, la nostra nazione aveva affrontato la difficile e dispendiosa Terza guerra d’indipendenza contro l'Austria, che aveva portato il disavanzo pubblico all’inaudito ammontare di 721 milioni di lire, cifra mai toccata prima, a causa delle spese ingenti dovute al conflitto. La risposta dello Stato alla grave crisi finanziaria e alla necessità di ulteriori prestiti dai banchieri inglesi consistette nell'incameramento dei beni ecclesiastici. 

Bisogna però riconoscere che il monastero di Monza fu esente dalla espropriazione, continuando con fervore la sua vita di preghiera in città.

Fondato un nuovo monastero a Innsbruck, in Austria nel 1870, Madre Serafina si spense l’8 febbraio 1876; dopo una lunga vita trascorsa sotto due dominazioni straniere (francese prima, austriaca poi), moriva italiana.

 

 


[1] la filanda era ubicata alla periferia di Monza, in via Amati 12 (cfr. pag. 10 del volume “Suor Maria Bucchi, fondatrice delle Suore del Preziosissimo Sangue”, Angelo Majo, Nuove Edizioni Duomo, 1993 e pag. 55-57 del volume “In ascolto del mondo”, Santina Dino, Suore del Preziosissimo Sangue Monza, 1971)

[2] I nome di questo rione del centro storico (che mantiene tuttora tale denominazione) deriva dalla sua conformazione urbanistica ( “carrobio”, cioè quadrivio). Era il luogo destinato alla sosta dei “carriaggi” (grossi carri per il trasporto delle merci) nei pressi delle porte cittadine. Qui sorge la chiesa di Santa Maria inizialmente retta dagli Umiliati a partire dal Duecento, e poi passata, a partire dal 1572, ai chierici regolari di S. Paolo (Barnabiti) che ancora oggi risiedono nell’annesso convento.

[3] Anche le Sacramentine fecero la loro parte: su ordine del Municipio tra il 1859 e il 1866 le monache confezionarono più di cento camicie rosse per i garibaldini e Madre Serafina inviò sovente materassi e bende per i feriti del conflitto (cfr. pag. 186 del volume “Come fiamma viva. Madre Serafina della Croce”, Fernanda Pesarin a.p., Edizioni Ancora, 1998)

[4] per il suffragio universale maschile bisognerà attendere il 1918, mentre per il riconoscimento del voto alle donne il 1946 (!)